La strage di Gaza e la confusione tra antisionismo e antisemitismo



di Vincenzo Brandi*

Roma, 2 novembre 2023

Nel momento in cui scrivo prosegue senza interruzione l’eccidio di Gaza ad opera dell’esercito israeliano. I morti sono già 9000, di cui quasi la metà ragazzi e bambini sotto i 15 anni. I feriti sono quasi 20.000, che è quasi impossibile curare perché sono stati colpiti gli ospedali, e mancano le medicine per il blocco quasi totale degli aiuti umanitari in entrata nella Striscia di Gaza, e i continui bombardamenti. Le persone non sanno più dove fuggire, perché la metà delle case sono state distrutte e sono colpite scuole, chiese, moschee, sedi dell’ONU dove la gente cerca di rifugiarsi.
Questa mattanza, che ormai si prefigura quasi come genocidio, non può essere giustificata con il diritto di Israele di “difendersi”, dopo l’attacco di Hamas del 7 ottobre. Questo attacco ha avuto certamente sia aspetti militari (la metà dei morti israeliani erano soldati che sorvegliavano il confine), sia aspetti terroristici, come il rapimento di ostaggi, fatto peraltro – secondo le dichiarazioni di Hamas - per poter effettuare uno scambio con le migliaia di prigionieri politici palestinesi che languono nelle prigioni israeliane (le notizie di crimini più efferati, come lo sgozzamento e la decapitazione di 40 bambini, sono state completamente smentite dalle stesse giornaliste che avevano incautamente dato la notizia, ed è provato che molti ostaggi sono stati uccisi dal fuoco indiscriminato dell’esercito israeliano durante la riconquista degli insediamenti occupati da Hamas).

Chi scrive è ateo e non ha simpatia verso i movimenti religiosi, sia islamici come Hamas, ma anche come quelle correnti fondamentaliste di Ebrei ultraortodossi. Tuttavia - come scritto anche dal coraggioso giornalista, editorialista dell’importante giornale progressista israeliano Haaretz, Gideon Levy - questa tragedia ha la sua origine nei 75 anni di oppressione, pulizia etnica, apartheid, occupazione militare, furto di terre e di case, uccisione sistematica di dimostranti disarmati attuata dallo stato di Israele a danno dei Palestinesi (più di 500 dimostranti son stati uccisi in Cisgiordania nell’ultimo anno e mezzo, quindi anche prima del 7 ottobre).

Ne sono consapevoli molti intellettuali ebrei democratici, ed anche quei coraggiosi giovani Ebrei statunitensi che hanno invaso il Campidoglio e la stazione di New York al grido di “not in my name” (“non in mio nome”) , prendendo le distanze dalle politiche dello stato di Israele. Ricordiamo il giudizio di un intellettuale ebreo italiano, Moni Ovadia, secondo cui Israele è “una dittatura militare”. Ricordiamo l’opera di un coraggioso storico israeliano, già professore ordinario di storia all’Università di Haifa, Ilan Pappe, che nella documentatissima opera “La pulizia etnica della Palestina” descrive i metodi terroristici usati dalle milizie ebraiche nel 1948 per cacciare dai territori da loro occupati i tre quarti della popolazione palestinese. Ne è testimone diretto anche lo scrittore Milanski, già combattente della milizia ebraica Haganah, che nel racconto autobiografico “La rabbia del vento” ricorda come gli abitanti di interi villaggi fossero costretti sotto la minaccia delle armi a salire sui camion che poi li portavano e li scaricavano alla frontiera libanese o giordana.
Nei giorni scorsi sono comparse svastiche sui muri del cimitero ebraico di Vienna, dato anche parzialmente alle fiamme, disegnate provocatorie stelle di Davide su muri di Parigi, mentre sono state deturpate varie targhe poste sul manto stradale che a Roma ricordano la deportazione di famiglie ebree. Questi episodi, compiuti certamente da spregevoli elementi nazi-fascisti ed anti-semiti fuori di testa, vanno condannati duramente senza esitazione. Bisogna però evitare di confondere il concetto del cosiddetto “Antisemitismo” (anche se la maggior parte degli Ebrei moderni non sono affatto semiti, come illustrato dal professore israeliano dell’Universita’ di Tel Aviv Shlomo Sand nella sua nota opera “L’invenzione del popolo ebraico”) con il concetto di “Antisionismo”.

Il “Sionismo” è un’ideologia di tipo nazionalsta e colonialista – che nulla ha che fare con la grande tradizione culturale ebraica - diffusosi presso una minoranza degli Ebrei alla fine dell’800 (molto prima della Shoah!) ad opera soprattutto di Theodor Hertzl, che predicava un “ritorno” degli Ebrei in Palestina, colonizzando quelle terre – peraltro già abitate da un’altra popolazione- per fondarvi uno stato solo per Ebrei. I romanzi dello scrittore ebreo polacco, Isaac Singer, mostrano come negli anni ’30 dello scorso secolo la maggioranza degli Ebrei in Europa orientale aderivano all’organizzazione socialista “Bund” o erano addirittura comunisti, e guardavano con sospetto ai Sionisti. L’identificazione di molti Ebrei moderni diffusi nel mondo con le politiche sioniste dello stato di Israele danneggia soprattutto gli stessi Ebrei. Posso personalmente testimoniare che nelle manifestazioni a favore della libertà della Palestina svoltesi a Roma non si è assolutamente sentito nessuno slogan anti-ebraico, ma solo slogan critici verso le politiche dello stato di Israele. Purtroppo queste politiche di progressiva colonizzazione e pulizia etnica rendono ormai ipocrita e vuota la proposta di “due popoli, due stati”, proposta che fu sostenuta dall’unico forse politico israeliano che vi credette, Isaac Rabin, non a caso assassinato da un estremista israeliano. La situazione è tragica, ma è certo che nessuna pace stabile sarà possibile senza il riconoscimento dei diritti inalienabili del popolo palestinese.

*Aricolo sarà pubblicato sul numero di novembre 23 de "La Voce di GAMADI"

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