Più simposi, meno bavagli: "l'Urlo" sarà proiettato a Roma il 17 dicembre

23 Novembre 2021 16:00 Michelangelo Severgnini

Il mondo va nella direzione opposta e cosa possiamo fare noi, estromessi dal consesso civile, di fronte a una guerra di pensiero che, poco prima dell’eliminazione dei corpi, mira all’eliminazione di quegli spazi di dialogo dove le ragioni della minoranza possano essere affermate?

Non solo, il concetto di democrazia regredisce a “dittatura delle minoranze” e le ragioni di queste scivolano a criminali interferenze con il pensiero unico. E’ una questione di “salute pubblica”, di “sicurezza nazionale”, di “bene necessario e superiore”. E la democrazia diventa un involucro vuoto, addirittura un ingombro per l’attuazione delle politiche dello Stato.

Non solo i principi fondanti delle democrazie occidentali emerse dalla seconda guerra mondiale sono rimossi in nome dell’”emergenza permanente”, ma lo spirito profondo del pensiero occidentale è a rischio.

Pensiero che si è sviluppato a partire dalla filosofia greca e che un’opera immortale come il “Simposio” di Platone (416 A.C.) esplicita nei suoi elementi più evidenti.

Lo stigma dell’interlocutore è il metodo più in uso nel dibattito pubblico recente, in una crescita esponenziale in questi ultimi vent’anni.

Ma se l’interlocutore non ha diritto di parola, per rimanere all’interno del consesso civile ha solo 2 sole opzioni: essere schiavo o essere nemico interno destinato all’eliminazione.

Molti di noi stanno sperimentando in maniera crescente sulla loro pelle la prospettiva di chi non ha diritto di parola, se non quello di parlare al vento, privati di uno spazio comune di confronto.

Tuttavia a chi mi impedisce di parlare (e di farlo in uno spazio comune dove tutti possano ascoltare), rispondo lasciando parlare a mia volta.

Perché un consesso civile dove sia negata la libertà di parola non è un simposio, è una cena di gala tra gente imbavagliata.

E allora questa è una piccola strategia che vorrei suggerire: organizziamo simposi.

Apriamo degli spazi dove il confronto e l’ascolto non siano solo esercizi di buon costume, ma strumenti di crescita.

E’ questa l’arma che ci resta. E non abbiamo mai smesso di utilizzarla, sia ben chiaro. Ma oggi possiamo fare di più.

I MIGRANTI-SCHAVI IN LIBIA E LA LORO RIVOLUZIONE COPERNICANA

L’ho sperimentato nei 3 anni di ricerca di lavoro che mi hanno portato alla realizzazione del film “L’Urlo”. Lasciar parlare gli altri è un gesto rivoluzionario. Cambiare prospettiva sull’esistente è un metodo di ricerca sempre generoso di scoperte.

Così lasciar parlare i migranti-schiavi in Libia può riservare grandi sorprese. Si può scoprire che la maggioranza di loro è in trappola da anni e chiede di essere liberata e portata a casa. Questa circostanza rappresenta una rivoluzione copernicana dinnanzi alla narrazione asfissiante sulle migrazioni.

Non è cercare una vita migliore ciò che spinge a migrare (questo è l’aspirazione di tutti gli esseri umani), ma l’inganno tra costi e benefici (la strategia è sempre la stessa), indotto da precise campagne mediatiche che si abbattono su gente poco istruita per spingerla a partire. Quando l’inganno è scoperto, a metà strada, quelle persone vogliono tornare a casa. Non lo dico io. Lo hanno detto centinaia di migranti-schiavi in Libia nei messaggi che mi hanno inviato in questi 3 anni. E’ possibile raccontare questo all’interno del consesso civile europeo? No, non è possibile.

“L’URLO” SARA’ PROIETTATO A ROMA IL 17 DICEMBRE

Il prossimo 17 dicembre alle ore 18 presso il Teatro Flavio di Roma avremo la possibilità di proiettare in un luogo pubblico il film “L’Urlo”, dopo 2 anni di porte chiuse e censure preventive. Saremo a pochi metri dai palazzi del potere. E saremo a pochi giorni dalle prossime elezioni in Libia (il 24 dicembre) alle quali l’informazione di regime dedicherà quante meno parole possibili e quelle poche avranno il compito di confondere le idee dei lettori europei per non dire che a Tripoli da anni si susseguono governi illegittimi non suffragati dal voto popolare, calati dall’alto e sostenuti dalle diplomazie dei Paesi NATO.

Ma noi che non amiamo i bavagli, ma amiamo i simposi, abbiamo fatto parlare i Libici e questi ci hanno raccontato un’altra storia.

Chi ha paura del confronto non siamo noi. Chi ha qualcosa da nascondere non siamo noi. Il consesso civile esclude questo film, ma è vero anche che è questo film ad escludere il Verbo Indiscusso perché concettualmente misero al fine della comprensione del mondo.

Per questo motivo abbiamo bisogno di un piccolo sostegno per scrivere un capitolo di lotta al Pensiero Unico, al di là delle dirette conseguenze che queste elezioni in Libia possono avere per l’Italia. Abbiamo pertanto lanciato una piccola raccolta fondi per coprire le spese dell’affitto della sala, dei biglietti degli ospiti e di un minimo di promozione.

Abbiamo bisogno solo di 500€ la cui copertura chiunque può contribuire, secondo le proprie possibilità, a raggiungere.

https://www.gofundme.com/f/proiezione-del-film-lurlo-il-17-dic-a-roma

GLI AFGHANI TORNANO NEL LORO PAESE 10 VOLTE PIU’ DI QUANTI SCAPPINO

Meno di 2 mesi fa abbiamo pubblicato con l’AntiDiplomatico il libro “Simposio afgano”, scritto con le stesse premesse del lavoro che ha portato al film “L’Urlo”. In contatto diretto con centinaia di Afghani in Afghanistan abbiamo chiesto loro di restituirci non solo la fotografia del Paese reale che loro quotidianamente sperimentano, ma di indicarci la visione di Paese che hanno in testa.

Sono emersi racconti che sbugiardano mesi di dosi massicce di retorica dei diritti umani somministrate al pubblico europeo.

Ne abbiamo parlato nella presentazione alla Casa del Popolo di Palermo venerdì 19 novembre:

L’OIM (Organizzazione Internazionale per le Migrazioni) dichiara che 1,1 milioni di Afghani sono tornato in Afghanistan dai Paesi limitrofi dopo che i Talebani hanno preso il potere a Kabul (a fronte dei 120 mila evacuati dalle ex-forze di occupazione). Coloro che sono tornati a casa dopo anni di vita da profughi sono 10 volte più numerosi di chi ha lasciato il Paese in questi mesi.

E possibile raccontare

Deborah Lyons, inviato speciale delle Nazioni Unite per l’Afghanistan ha dichiarato che “le sanzioni economiche all’Afghanistan sono la causa della catastrofe umanitaria alle porte”. Il 60% dei cittadini afghani in questo momento ha problemi di denutrizione e 9 milioni di loro su 40 sono a rischio di morir di fame. La rappresaglia degli Stati Uniti sta bloccando 9,5 miliardi di dollari appartenenti al popolo afghano, conservati nelle banche americane e di fatto sequestrati dai difensori dei diritti umani.

Gli Afghani che parlano nel libro raccontano perché la maggior parte dei cittadini sia disposta a dare una possibilità ai Talebani. Non perché li amino (non tutti), ma perché la barbarie dei diritti umani torni da dove è venuta, in occidente, con tutto il suo corollario di numeri nascosti e bavagli.

E’ possibile raccontare tutto questo all’interno del consesso civile europeo? No, non è possibile.

IL TERRORE MEDIATICO TRANSATLANTICO

Ieri sera abbiamo tenuto una diretta con Souheil Bayoudh, regista e dissidente, in collegamento da Tunisi, per il primo di un ciclo di incontri in rete ogni lunedì che condurrà fino alla settimana della proiezione de “L’Urlo” a Roma. I prossimi appuntamenti saranno lunedì 29 novembre con una cittadina libica da Tripoli, lunedì 06 dicembre con un migrante-schiavo dalla Libia e lunedì 13 dicembre con i protagonisti del film.

La diretta è disponibile a questo indirizzo.

Souheil ci ha raccontato che in Nord Africa l’islam politico è andato a braccetto con la sinistra negli ultimi 10 anni, sempre più beneficiari designati delle cosiddette “rivoluzioni” arabe o oggi uniti come non mai dalla strenua resistenza contro la volontà del popolo pur di difendere i privilegi acquisiti. Ed ecco perché la sinistra europea oggi si mobilita a difesa di quelle strutture di potere che hanno saccheggiato il Nord Africa, perché l’Unione Europea si è imposta sulla vita sociale tunisina attraverso il lavoro delle ONG, in cui lavorano giovani europei invasati dalla nuova religione dei “diritti umani” che hanno trovato stipendi e carriere per andare ad evangelizzare i popoli inferiori. Questo è il motivo per cui il presidente Kais Saied, quando parla di sovranità della Tunisia, diventa bersaglio della disinformazione militante.

Ma la contraddizione sta proprio qui. Per “evangelizzare” i popoli la sinistra europea ha bisogno che l’islam politico sia al potere, coloro che esprimono la negazione dei diritti umani. Ma l’unica religione in questo caso è quella dei soldi e tutto il resto è contorno.

“I giornalisti italiani sono degli schifosi avvoltoi che rispondono ad una mafia mediatica per la colonizzazione della Tunisia”, ci dice Souheil. Tenere insieme la Fratellanza Musulmana e la sinistra dei “diritti umani” è un lavoro non semplice, che richiede molta manipolazione dei fatti e dei dati.

Richiede una violenza. Una sistematica rimozione delle fonti. E sono persone come Souheil a farne le spese.

“Sono vittima di un terrore mediatico transatlantico. Dobbiamo chiedere a Cina e Russia di investire in una contro-informazione ormai necessaria in questa parte del mondo. Siamo in guerra. Ne sa qualcosa Julian Assange, ma l’ha capito anche uno come Navalny, che senza consenso popolare ha una macchina da guerra a sua disposizione, quella dei media occidentali”.

Siamo in guerra contro noi stessi, probabilmente. La civiltà del bavaglio non ha altri strumenti se non l’eliminazione fisica.

Noi siamo per i simposi. Per dire le cose come stanno. Siamo per ascoltare. Siamo per trovare metri di confronto. Perché alla tavola della libertà di espressione si possano sedere tutti. Non solo per giustizia, ma soprattutto per necessità di comprendere a fondo la realtà che viviamo.

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