Bengasi. Stringere le mani ad un ministro di un governo che per l'occidente non esiste

22 Novembre 2022 14:00 Michelangelo Severgnini

BENGASI CAPITALE DELL'ISIS IN NORD AFRICA: 2014-2016

A poche ore dal nostro arrivo a Bengasi.

Ritrovarsi nel centro storico della città, costruito dagli Italiani e distrutto dall'Isis come se fosse un quartiere di Homs in Siria.

Eppure questi muri crivellati di colpi non li abbiamo visti.

Non sono proprio entrati nel nostro immaginario.

Eppure queste distruzioni fanno ancora più male. Perché ci riguardano. Perché non abbiamo fatto niente in soccorso dei libici occupati dall'Isis.

Anzi, forse ci dispiace un po' che a Bengasi si siano liberati da soli.

Da soli... grazie a Khalifa Haftar, come ci ripetono qui.

Il suo coraggio ha unito i libici che hanno combattuto per liberare le città dell'est della Libia.

All'ovest invece, a Tripoli, ci siamo noi e soprattutto i Turchi. Così almeno garantiamo la presenza dei gruppi armati e delle milizie.

E garantiamo che la guerra continui, così come la schiavitù, la tratta di esseri umani e tutto il resto.

BENGASI: LA CITTÀ CHE NON ESISTE

Ho cominciato oltre 4 anni fa, mettendomi in contatto sui social con chi stava in Libia, migranti-schiavi e libici, chiedendo loro di raccontarmi un'altra storia.

Oggi, a Bengasi, ho stretto la mano e ho chiacchierato con Ahmed Houma, ministro della difesa del governo Bashagha, il legittimo governo libico, forte del voto di fiducia del parlamento. Governo non riconosciuto dall'Occidente e costretto ad un esilio interno nell'est del Paese dalle milizie di Tripoli che noi finanziamo in chiave coloniale, per saccheggiare il petrolio libico.



Dalle nottate insonni nella mia stanza a chattare con ignoti, fino alla stanza di un ministro di un governo che per l'Occidente non esiste, ma per i Libici è tutto ciò che hanno. Sono venuto qui per dire loro una cosa: c'è una parte di Italia che ora vi conosce, che ora sa chi siete, che ora sa quanto il popolo libico vi ami e che oggi, come i partigiani nel secolo scorso, non si riconosce nelle politiche coloniali del proprio paese.


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