Le ricadute del PNRR sulla forza lavoro pubblica

di Federico Giusti

Quando asserivamo che il mondo sindacale si presentava fin troppo fiducioso, ma soprattutto silente, in merito alle ricadute del Pnrr sulla macchina amministrativa eravamo nel giusto. Amara constatazione a pensarci bene, ora i nodi sembrerebbero venire al pettine anche se le soluzioni potrebbero rivelarsi a dir poco deludenti.

All'ombra del Pnrr avviene un processo di ristrutturazione della Pa di cui non si vuol parlare calando una stupida cortina di fumo attorno a fin troppe questioni.

Ad esempio, con la revisione del Pnrr nell'anno 2023, alcuni capitoli di spesa coperti dal Piano sono stati esclusi per indirizzare gli impegni economici a settori e ambiti con maggiore reddittività e legati alla transizione energetica e alla digitalizzazione.

Venuti meno i fondi europei si dovranno coprire con fondi nazionali gli interventi di tutela ambientale e dei borghi specie nelle aree meridionali. Poi andranno presto ridefinite le regole per i filoni esclusi dal Pnrr che in ogni caso beneficeranno di tutte le semplificazioni procedurali previste per il Piano. Al contempo il Governo deve affrontare e risolvere altre problematiche sintetizzate nell'obiettivo di costruire una rete di sicurezza a copertura economica dei contratti a termine del personale e a finanziare gli incentivi promessi per lo smaltimento dell'arretrato nella Pa, ad esempio nel comparto giustizia.

È ultima, ma non in ordine di importanza, è la clausola di responsabilità sulla spesa che il ministro Fitto vorrebbe scaricare sulle ditte aggiudicatrici per far pagare loro lo scotto economico dei ritardi nella attuazione del Pnrr.

Invece di affrontare e superare i limiti della macchina amministrativa il Governo intende scaricare letteralmente sui soggetti attuatori gli oneri delle perdite finanziarie legate al mancato rispetto delle scadenze. Nel caso statale e degli enti locali chi pagherà la carenza di personale e degli strumenti di lavoro che sono tra le principali cause dei ritardi nella attuazione del PNRR?

Per senso di giustizia ed equità il conto, salato, dovrebbe essere inviato a Governi e sindacati che hanno depauperato gli organici della Pa da 30 anni ad oggi

Altro tema caldo è legato ai processi di mobilità tra le diverse amministrazioni, dentro quei processi di flessibilità del personale che ormai, al pari della meritocrazia e della produttività, sembrano essere i principi guida dei prossimi contratti per i 3,2 milioni di dipendenti pubblici.

Il legislatore si muove alla stregua di Linus con la famosa coperta, ovunque tu la tiri qualche parte ne rimarrà fuori, allora i trasferimenti da un Ente e l’altro della Pubblica amministrazione diventano lo strumento con il quale evitare una politica occupazionale che riporti gli organici complessivi della Pa ai numeri di un tempo. Per essere brutali potremmo anche obiettare che diversi profili della Pa non sono intercambiabili ma l'idea di mobilità interna tra i comparti pubblici resta suggestiva ed economicamente tale da non determinare incrementi di spesa.

Con l'aiuto dei sindacati rappresentativi stanno cercando una soluzione a partire dal corretto inquadramento professionale ed economico del lavoratore dacchè nel pubblico esistono differenze salariali rilevanti tra i vari comparti.

Gli ultimi contratti hanno già posto fine alle posizioni economiche all’interno delle singole aree, da ora in poi le nuove assunzioni in tanti casi avverranno al risparmio con inquadramenti inferiori al passato, minore spesa e in prospettiva forse anche contributi previdenziali più leggeri.

Un recente decreto in Gazzetta Ufficiale rinvia, in caso di mobilità interna tra comparti, al confronto degli ordinamenti professionali dentro contratti diversi tra loro sia sul piano normativo che economici, si afferma un criterio di equiparazione macchinoso e tale da rinviare alle declaratorie professionali di ogni singolo Ccnl per individuare mansioni, competenze e titoli di accesso.

Che il dipendente transitato da un comparto all'altro non debba subire decurtazione economica è cosa risaputa e anche condivisa dai sindacati firmatari di contratto che si limitano tuttavia a discutere delle mobilità pensando di regolamentarle senza mai discuterne l'efficacia e la funzione.

Non basta limitare il danno, se non si bandiscono concorsi nuovi l'occupazione non cresce, tutto si riduce all’applicazione del differenziale stipendiale dell’amministrazione destinataria con una mera equiparazione tra vecchio e nuovo stipendio

Qualora venisse solo preso in esame, nella mobilità, il trattamento giuridico ed economico, compreso quello accessorio, non ci sarebbe perdita stipendiale ma i è lecito che il sindacato finisca con l'assumere solo compiti ragionieristici senza mai mettere in discussione i processi decisionali e le loro stesse finalità?

Sullo sfondo intravediamo un altro pericolo ossia l'avvento della mobilità obbligatoria tra comparti e di questo non si parla pensando di affrontare i processi in atto solo attraverso la verifica dello stipendio di base e del salario accessorio magari con qualche super minimo ad personam riassorbibile.

Se un lavoratore guadagnasse di più potrebbe beneficiare di una voce stipendiale che gli riconosca in sostanza lo stesso trattamento economico ma quel vantaggio economico, che poi non significa aumenti reali degli stipendi, sarà vanificato nell'arco di pochi anni perchè si tratta di surplus riassorbibile con i futuri contratti.

Tanta attenzione verso le procedure cela in realtà l'accettazione del principio che in nome del contenimento della spesa si possa favorire la mobilità tra Enti pubblici a mero discapito di nuove assunzioni e introiettando l'idea che alcuni comparti della Pa annoverano organici superiori alle reali necessità

E queste operazioni potrebbero anche essere giustificate con l'ammodernamento della PA, i processi di digitalizzazione o con gli impegni del Pnrr , insomma nel nome di esigenze insopprimibili da accogliere senza remore e obiezioni di sorta.

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