Mentre la guerra in Ucraina raggiunge una nuova escalation, il Parlamento italiano redige una legge di bilancio priva di qualsiasi costrutto programmatico

22 Dicembre 2022 15:58 Paolo Maddalena

La stampa odierna pone in evidenza l’importante svolta della guerra in Ucraina realizzatasi con il viaggio di Zelensky negli Usa e con la decisione, da parte di Biden, di inviare in Ucraina i cosiddetti missili Patriot capaci di intercettare intere batterie missilistiche russe, nonché di colpire obiettivi a lungo raggio.

Putin ha reagito ordinando un massiccio spostamento di forze militari ai confini della Bielorussia per poter attaccare l’intero territorio ucraino. Come si nota una vera escalation del rischio di una guerra nucleare.

Bisognava trattare con la Russia all’inizio dell’invasione. Ora sembra che la questione sia sfuggita di mano a qualsiasi tentativo di composizione.

L’altra notizia è quella dell’approdo alla Camera dei Deputati del nuovo disegno di legge del Bilancio per il 2023. Dalle notizie che trapelano da varie fonti si riceve l’assurda impressione che questa manovra di bilancio, la quale avrebbe dovuto avere il fine di collocare le risorse necessarie per raggiungere gli obbiettivi di governo, non abbia a fondamento nessun serio programma, specialmente per quanto riguarda il settore economico.

Si riceve l’impressione che la corruzione berlusconiana si sia affermata senza limiti. Si pensi al condono, all’elevazione del contante, alla flat tax e addirittura allo scudo penale per chi evade le tasse dovute.

Emerge altresì la linea distruttiva dell’unità economica e giuridica dell’Italia voluta dalla Lega e fatta propria da Fratelli d’Italia. Infatti il reddito di cittadinanza è stato ridotto a sette mesi, ed è stata eliminata la condizione secondo la quale i percettori di tale reddito non avrebbero potuto percepirlo in caso di “un’offerta congrua”. Sostituendo a questa condizione quella che prevede qualsiasi offerta in qualsiasi parte d’Italia. Si tratta di uno strale ignobile contro chi non lavora e, in quanto vittima del sistema economico predatorio neoliberista che accentra la ricchezza nelle mani di pochi, dovrebbe essere costretto ad accettare qualsiasi tipo di lavoro, anche fortemente stressante e sottopagato in qualsiasi parte d’Italia.

Una lotta contro il Popolo povero e inerme che soffre le conseguenze di una trentennale politica che ha ceduto ai privati, come Berlusconi, Benetton, Colaninno, Caltagirone, ecc., la gestione molto lucrosa dei servizi pubblici essenziali, delle fonti di energia e delle industrie strategiche, cancellando in pratica la maggiore fonte di entrata del bilancio statale e cioè quella di natura patrimoniale.

Con la conseguenza inevitabile che servizi che devono essere svolti unicamente dall’autorità amministrativa, con tutte le conseguenti responsabilità connesse, vengono invece donate a singole S.p.A. che agiscono nel proprio individuale interesse e contro l’interesse generale, disgregando così l’unità giuridica dell’Italia.

La quale si trova oggi, a causa della guerra e dell’increscioso aumento dei rischi della pandemia, senza più un capitale pubblico consistente, che possa far fronte a queste eccezionali esigenze.

Insomma si tratta di un bilancio dello Stato che annienta il lavoro, che secondo la Costituzione dovrebbe essere garantito dall’intervento dello Stato nell’economia, come è stato fino al 1990, quando sono state vendute tutte le banche pubbliche, mentre nel 1992 sono stati posti sul mercato l’Eni e l’Enel (che ci avrebbero salvati dal caro bollette), nonché l’Ina e l’Iri con mille aziende pubbliche e 600 mila dipendenti rimasti senza lavoro.

Una legge abominevole che prevede addirittura alcune disdicevoli proposte, come quelle della libera cacciagione dovunque e per tutto l’anno e l’uccisione dei cinghiali che si trovano in città per poi mangiarne le carni.

Siamo davvero nell’abisso dell’ignoranza totale e della distruzione dell’asse portante della legge di bilancio, che dovrebbe essere diretta a tutelare l’interesse generale e il progresso materiale e spirituale della società, nell’osservanza dell’articolo 36 della Costituzione, che prevede per i lavoratori “il diritto fondamentale a una retribuzione sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa”.

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