Il Capo di Stato Maggiore Usa Mark Milley manda un messaggio a Londra


Nella nota pregressa abbiamo dato conto di una dialettica interna all’Impero, che vede i falchi anti-russi contrapporsi ai falchi anti-cinesi, con questi ultimi che vorrebbero chiudere la guerra ucraina per riorientare la politica estera Usa verso il contenimento della Cina.

La dialettica interna all’impero sta assumendo i toni di un conflitto aperto. Di ieri l’intervista del Capo degli Stati Maggiori congiunti, generale Mark Milley, al Financial Times, nella quale ribadiva quanto aveva detto nel novembre scorso, cioè che nessuno dei due eserciti può vincere la guerra, da cui l’inevitabilità di aprire un negoziato.


L’intervista di Milley

Interessante sia il contenuto dell’intervista che altro a essa legato. Anzitutto il contenuto: Milley spiega che la Russia non può vincere perché non può “conquistare l’Ucraina. Ciò non succederà”. Il dettaglio è importante, perché la Russia ormai non mira più a controllare l’Ucraina, e in realtà non è mai stato quello l’obiettivo, ma a controllare il Donbass.

Così, implicitamente, Milley accede all’idea che il negoziato possa comprendere concessioni sul Donbass ai russi. Cosa che conferma nella risposta successiva, quando spiega che “è molto difficile che l’Ucraina cacci i russi da tutto il territorio”, aggiungendo che lo scenario che vede la vittoria totale di Kiev “richiederebbe essenzialmente il collasso dell’esercito russo”.

Cosa che sa perfettamente che è impossibile, perché vorrebbe dire l’incenerimento della stessa Russia, cosa che Mosca non permetterebbe (vedi alla voce testate atomiche).

Al di là del contenuto, è interessante anche notare che quando il generale aveva detto cose analoghe a novembre, successivamente aveva dovuto fare marcia indietro a causa delle pressioni dei falchi anti-russi. Il fatto che ieri abbia rilanciato quelle prospettive vuol dire che la sua posizione è più solida, ha forze che lo supportano.

Inoltre, è interessante notare che l’intervista è stata rilasciata al giornale della City di Londra, il Paese più ingaggiato nella guerra ucraina, come per inviare un messaggio all’alleato affinché moderi la sua aggressività.

Aggressività ieri rilanciata dal premier britannico Rishi Sunak che, in un summit congiunto con il presidente polacco Andrzey Duda, ha chiesto di accelerare l’invio di armi e di aerei Nato a Kiev. Giustamente, Dagospia ha titolato: “Londra e Varsavia scherzano con il fuoco”.

Nel summit i due si sono elogiati a vicenda per il “ruolo guida” assunto nel supporto all’Ucraina… ed è questo appunto il focus della vicenda: a fronte del conflitto interno Usa, Londra, con il supporto della subordinata Polonia, vuole assurgere a dominus del fronte anti-russo (ovviamente grazie alla sponda neocon).

Scontro aperto, dunque, con l’amministrazione americana. E con la povera Unione Europea, che oltre al giogo Usa si sta mettendo al collo anche il cappio insaponato per lei da Londra, che vede in questa contesa con Mosca un’occasione esistenziale… l’unico modo, secondo i suoi strateghi, per sopravvivere e rilanciarsi nell’era della post-Brexit.

La Crimea il ministro della Difesa ucraino

Non solo la contesa della Manica, l’amministrazione Usa deve fare i conti anche con la fortissima pressione neocon, fotografata in maniera plastica da una controversia recente.

In una conversazione via zoom di mercoledì con alcuni esperti, riporta Politico, Blinken ha affermato che attaccare la Crimea supera una linea rossa di Mosca, che potrebbe scatenare una risposta forte. Nel commentare la notizia, Dave DeCamp spiega che si tratta di un’inversione di tendenza rispetto a quanto “riferiva il New York Times il mese scorso, cioè che l’amministrazione [Usa] voleva aiutare l’Ucraina ad attaccare la penisola e non era preoccupata per l’escalation”.

Prospettiva rilanciata ieri dalle dichiarazioni incendiarie di Victoria Nuland al Carnegie Endowment for International Peace. Parlando di possibili attacchi ucraini alle installazioni militari in Crimea e di eventuali escalation conseguenti, il Sottosegretario di Stato Usa ha dichiarato che si tratta di “obiettivi legittimi e noi li sosteniamo” (Reuters). Una netta contrapposizione, dunque, con Blinken.

La guerra ormai aperta nel cuore dell’impero ha nel destino del ministro della Difesa ucraino Oleksej Reznikov una partita importante, dal momento che l’amministrazione Usa lo voleva far fuori sostituendolo con il più fidato Kyrylo Budanov.

Una settimana fa Reznikov aveva annunciato le sue dimissioni, ma dopo il viaggio di Zelensky a Londra e la riunione dei ministri della Difesa Nato a Bruxelles di ieri, il ministro della Difesa ha dichiarato che il presidente lo vuole ancora al suo posto.

Peraltro, appare indicativo in tal senso un suo tweet: “È stato un onore per me essere invitato e partecipare alla sessione #DefMin del Consiglio Nord Atlantico”. Non si invita un dimissionario. Tradotto: la Nato vuole che resti…

Budanov avrebbe potuto spingere per chiudere il conflitto ed eventualmente sarebbe stato utile se si fosse resa necessaria una destituzione di Zelensky, cosa che il presidente ucraino deve aver subodorato.


La guerra e il Capitale

Interessante, però, anche il ruolo del Grande Capitale in questa partita. La scorsa settimana il presidente e amministratore delegato di JP Morgan, Jamie Dimon, si è recato a Kiev dove ha incontrato Zelensky.

Così Dimon: “Siamo orgogliosi del nostro sostegno di lunga data all’Ucraina e ci impegniamo a fare la nostra parte per risollevare il paese e la sua gente. Tutte le risorse di JPMorgan Chase sono disponibili per L’Ucraina mentre traccia il suo percorso di crescita postbellico“.

Dimon giunge a Kiev dopo che Zelensky ha già venduto quel che doveva a Blackrock, il più importante fondo di investimenti del mondo. E quando ormai anche Goldman Sachs et similia “sono già diventati parte del nostro mondo ucraino”, come ha dichiarato Zelensky durante la visita di Dimon.

Insomma, c’è una spinta a fare affari, sia speculando sulla guerra, come scrive American Conservative da cui abbiamo tratto queste notizie, ma anche al di là dei carrarmatini.

La guerra, per gli squali della Finanza, rappresenta un’opportunità, ma potrebbe anche diventare un problema. Non per nulla Milley ha rilasciato la sua intervista al giornale della City, ansiosa di essere più coinvolta nel banchetto ucraino, sia nel corso del conflitto che nel dopoguerra.

Guerra aperta, dunque, tra le due fazioni dell’Impero. Vedremo. Resta che l’Ucraina del dopoguerra, quando questo inizierà, sarà ancora più di prima una proprietà privata delle banche e dei grandi fondi di investimento. Per il povero popolo ucraino non si prospetta un destino felice.

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