di Giacomo Gabellini
Tra agosto e settembre, l'esposizione in Treasury Bond statunitensi della Repubblica Popolare Cinese è diminuita da 971,8 a 933,6 miliardi di dollari; quella delle Isole Cayman, da 307,3 a 301,5 miliardi; quella del Lussemburgo, da 306 a 298,6 miliardi; quella della Svizzera, da 294,9 a 278 miliardi; quella dell'Irlanda, da 275,3 a 265,1 miliardi; quella del Brasile, da 232,2 a 226,4 miliardi; quella di Taiwan, da 233,2 a 216,9 miliardi; quella dell'India, da 221,2 a 212,6 miliardi; quella della Francia, da 233,7 a 207,7 miliardi; quella del Canada, da 211,1 a 198,8 miliardi; quella di Hong Kong, da 190,2 a 179,1 miliardi; quella di Singapore, da 189,5 a 177,5 miliardi; quella dell'Arabia Saudita, da 122,1 a 121 miliardi; quella della Corea del Sud, da 118 a 105 miliardi; quella della Norvegia, da 110,4 a 99,6 miliardi; quella della Germania, da 88,7 a 83,9 miliardi. Persino l'Italia segue lo stesso trend, passando da 38 a 36,9 miliardi.
In controtendenza si segnalano essenzialmente Giappone (da 1.199,8 a 1.1120,2 miliardi), Regno Unito (da 644,7 a 663,3 miliardi), Belgio (da 287,9 a 325,1 miliardi), Olanda (da 65,4 a 66,2 miliardi), Australia (da da 54,1 a 56,2 miliardi).
Complessivamente, il volume delle detenzioni internazionali di Treasury Bond statunitensi è diminuito tra agosto e settembre di ben 212,1 miliardi di dollari (da 7.509 a 7.296,9 miliardi).
Il tutto nonostante la vigorosa stretta creditizia operata dalla Federal Reserve attraverso un progressivo innalzamento dei tassi di interesse, passati dallo 0,25 al 2,5% tra marzo e settembre. Mese, quest'ultimo, a partire dal quale la Banca Centrale Usa ha guarda caso impresso una ulteriore accelerata al processo di "normalizzazione monetaria", con ben due correzioni dei tassi (passati dapprima al 3,25 e quindi al 4%).
Ognuno tragga le proprie conclusioni.
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