Come banche e grandi imprese stanno sfruttando la crisi per esternalizzare migliaia di dipendenti. Intervista a Lidia Undiemi


E' una delle conseguenze forse più devastanti della crisi economica in corso in Italia. Con ripercussioni per migliaia di famiglie e per il nostro tessuto-sociale produttivo. In poco tempo importanti aziende hanno annunciato operazioni di esternalizzazione per migliaia di dipendenti, cifre impressionanti che non si leggevano da tempo. Il tutto nel totale disinteresse mediatico.


Sul tema come AntiDiplomatico abbiamo intervistato Lidia Undiemi, una delle massime esperte italiane in materia e consulente di diversi lavoratori in importanti cause di impatto nazionale.


Unipol Sai ha deciso di cedere ben 5107 dipendenti, 1200 protestano contro la decisione di E-distribuzione del gruppo Enel di cedere parte delle attività, Tim intende cedere quasi 700 persone dell'IT. Ci può spiegare cosa sta accadendo?


Anzitutto le cifre che lei ha citato sono davvero impressionanti, non si è mai vista una banca cedere tutto d'un colpo 5 mila persone. In passato Telecom per cedere 3000 dipendenti ha dovuto attuare molte cessioni di attività, che sono state poi massivamente impugnate dai lavoratori, con risultati giudiziari nettamente favorevoli alla loro richiesta di rientrare in Telecom.



Per quale motivo stiamo vivendo questa ondata di esternalizzazioni?

A mio parere i motivi sono principalmente tre. Quello principale risiede nella volontà di banche e grandi aziende in generale di sfoltire le attività ed il personale al proprio interno. In secondo luogo, la crisi indotta dall'emergenza sanitaria crea un clima favorevole per il raggiungimento di tali scopi. Il terzo motivo è possibilmente legato alle restrizioni poste dal governo ai licenziamenti, così da considerare le esternalizzazioni come una valvola di sfogo alternativa.

Perché le esternalizzazioni vengono spesso ricondotte alla precarizzazione dei posti di lavoro?

Le esternalizzazioni, ossia l'affidamento all'esterno di parte delle attività, sono strumenti leciti, che però diventano illeciti quando non sono finalizzati al reale affidamento delle attività ad un altro imprenditore ma mirano a ridurre gli stipendi, se non addirittura il numero, dei lavoratori.

Com'è possibile?

Perché coloro che erano prima dipendenti della grande azienda, si ritrovano ad essere assunti presso quella che li ha acquisiti, che a sua volta fornisce a quella che li ha ceduti il servizio prodotto dal ramo ceduto, mediante stipulazione di un contratto di appalto. Ciò consente all'ex datore di lavoro di potere determinare la riduzione dei salari riducendo il corrispettivo dell'appalto.

Se poi la società che ha acquisito i dipendenti è controllata da chi li ha ceduti, le lascio immaginare quanto possa essere semplice un epilogo di questo tipo.

Lei sta seguendo come consulente molte grandi cause contro le esternalizzazioni. Qual è la sua impressione?

La mia impressione è che vi è una diffusa ostilità dei lavoratori contro queste pratiche, e che gli avvocati rappresentano un punto di riferimento essenziale per ottenere il rientro in azienda.

Pensa sia una soluzione accettabile quella di affrontare le esternalizzazioni con le cause legali?

Penso sia un passo obbligato in un paese dove non è stata mai affrontata realmente la questione della piaga delle esternalizzazioni. Occorre una legge che ponga fine all'utilizzo anomalo dello strumento.

Che tipo di legge?

Centrale per la risoluzione del problema è l'introduzione dei diritto di opposizione del lavoratore al proprio trasferimento, che in base alla normativa attuale non richiede il consenso del lavoratore ceduto.

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