Il Brasile è sotto attacco



di Manlio Di Stefano*

In Brasile la democrazia è sotto attacco. Con un vero e proprio colpo di stato istituzionale, tutte quelle forze politiche che per ben quattro tornate elettorali sono uscite ampiamente sconfitte dal confronto con il Partito dei Lavoratori (PT), vogliono rovesciare un governo legittimo votato da 54 milioni di brasiliani.

L'obiettivo è ovvio, prendere il potere e attuare quelle misure neo-liberiste che tanti danni hanno prodotto durante la cosiddetta «larga noche neoliberal».

La presidente Dilma Rousseff non è coinvolta in nessuna indagine di corruzione ma il processo di impeachment che la riguarda è basato sull’accusa «di aver manipolato i dati sulla situazione economica in Brasile». Accusa che, con il passar del tempo, si è rilevata sempre più debole tanto da spingere il New York Times a parlare di «motivazioni estremamente dubbie» e il The Economist ad affermare che «senza alcuna prova di reato, siamo di fronte a un pretesto per cacciare un presidente».

La situazione in cui si trova Dilma Rousseff è paradossale visto che ben 318 membri su 594 del Congresso brasiliano, non solo si trovano sotto inchiesta per reati finanziari e corruzione ma, dovranno votare sul futuro di un presidente che non ha compiuto alcun reato o scorrettezza finanziaria.

Durante la votazione alla Camera dei Deputati abbiamo ascoltato le motivazioni più assurde per giustificare l'appoggio alla messa in stato di accusa del presidente in carica: dal «volere di Dio» alla «famiglia», passando per «i militari del colpo di stato del 1964».

L'opposizione - screditata e corrotta - vuole tramite questa operazione arrivare alla destituzione di Dilma Rousseff. Sarebbe il secondo caso per il Brasile dopo la destituzione del liberale Fernando Collor nel 1992. Prima di arrivare a compimento di quello che la presidente ha definito senza mezzi termini «colpo di stato», il Senato dovrà approvare la messa in stato di accusa a maggioranza semplice (42 su 81 senatori) a quel punto comincerebbe il processo a Dilma Rousseff che dovrebbe lasciare il suo incarico per 180 giorni con il passaggio del potere a Michel Temer del Partido del Movimento Democratico Brasileno, formazione centrista che ha rotto la sua alleanza di governo con il Partito dei Lavoratori (PT). La destituzione definitiva dovrà essere approvata con il voto di almeno 54 senatori su 81, i due terzi della Camera Alta.

In questo ipotetico scenario, Michel Temer sarebbe nominato nuovo presidente e avrebbe il compito di portare la legislatura a naturale scadenza nel 2018. Sul politico centrista, però, grava un processo di impeachment così l’incarico passerebbe ad Eduardo Cunha (sotto indagine per svariate attività illecite) che avrebbe l'obbligo di convocare nuove elezioni entro 90 giorni.

Secondo voi chi c'è dietro quest'attacco contro la democrazia brasiliana?

Pochi giorni fa il presidente dell'Ecuador Rafael Correa denunciava come in America Latina sia «in corso un nuovo piano Condor».

Il 14 aprile del 2002, dopo il fallimento del colpo di stato in Venezuela contro il presidente democraticamente eletto Hugo Chavez, sancì l'uscita degli Stati Uniti dall'America Latina la quale poté progressivamente spezzare le catene del Fondo Monetario Internazionale. Poco dopo, nel 2003, gli USA invasero l'Iraq.

E oggi cosa sta succedendo? Presa coscienza del fallimento su tutta la linea in Medio Oriente, Washington tenta nuovamente di ritornare in America Latina con tutti i mezzi illeciti che conosce.

Le tecniche del passato - colpi di stato militari - non possono essere più utilizzate ma Washington trova sempre nuove vie: “inchieste giornalistiche”, impeachment creati ad arte e guerre economiche costanti.

Dal futuro del Brasile dipende il percorso d'integrazione libero ed indipendente dell'America Latina e, di conseguenza, la sorte delle istituzioni dei BRICS.

Tutti i democratici del mondo, quelli veri, oggi dovrebbero stringersi intorno a Dilma Rousseff e al suo partito.


*Deputato, Capogruppo M5S della Commissione Affari Esteri e Comunitari e delegato italiano presso il Consiglio d'Europa

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