L'America Latina non vira a destra



«Una polemica oppone chi dice che l'America Latina è entrata in un periodo di svolta a destra e chi nega che la regione sia giunta alla fine di un ciclo», questo quanto afferma Luis Bilbao, direttore della rivista America XXI in un'analisi degli ultimi avvenimenti che hanno interessato il sudamerica.

«Doppio errore – spiega Bilbao – che aggiunge confusione alla complessa congiuntura latinoamericana. La fine del ciclo è fuori discussione. Il cambiamento non comporta una svolta conservatrice e reazionaria dei popoli coinvolti nel vertiginoso processo che ha portato alla creazione di ALBA, UNASUR e CELAC, più l'espansione del Mercosur».

Il giornalista evidenzia inoltre che le destre mancano di consenso e leadership: «Non vi è alcun leader reazionario con consenso di massa. Per un intero periodo non ci sarà. Il rischio non risiede in una tendenza delle masse verso destra, ma nella frustrazione del loro desiderio di cambiamento. Governi considerati di 'sinistra' hanno deluso le masse e spinte nelle grinfie di dirigenti prefabbricati da società di consulenza e media. In assenza di istanze rivoluzionarie riconosciute, la crisi economica, inesorabile, provoca disaggregazione sociale e confusione politica».

L'analisi poi si concentra sulle ultime sconfitte patite dalle forze progressiste e socialiste in America Latina. Le elezioni in Venezuela e il referendum in Bolivia. «Casi particolari sono i risultati delle elezioni in Venezuela il 6 dicembre 2015 e in Bolivia il 21 febbraio. Basti dire qui che la maggioranza della popolazione sostiene i governi di Nicolás Maduro ed Evo Morales, in entrambi i paesi ci sono strutture politiche radicate e con capacità di conduzione. (…) altre sono state le ragioni che hanno portato a circostanziali sconfitte elettorali, che di per sé non significano nulla di trascendentale».

Diverso, invece, quanto si è verificato in altri paesi: «L'impeachment di Dilma Rousseff è un fenomeno di natura diversa. Più differenziato ancora è il caso dell'Argentina. In questo paese ha vinto un presidente ultraconservatore che poggia su una struttura partitica socialdemocratica (…) qualcosa di analogo è acacduto in Perú, dove la condotta di Ollanta Humala ha spinto i cittadini a dare il sostegno della maggioranza a due espressioni dell'estrema destra. Diversi in altro senso sono i governi di Uruguay e Cile, i quali non tradiscono promesse mai fatte ma nemmeno propongono un programma capace di consolidare e proiettare l'appoggio della maggioranza che li ha portati al potere».

«Nel primo periodo della convergenza latinoamericana – continua l'analisi di Luis Bilbaoc'è stato un abuso concettuale nell'identificazione di processi che, eccezion fatta per i paesi membri dell'Alba, mancavano di programma, strategia e ideologia comune. Questo eccesso, dettato in certi casi dall'ingenuità, riappare adesso alla fine del ciclo sotto forma di infondato pessimismo».

Non poteva mancare nella vicenda l'azione disgregatrice svolta dall'imperialismo statunitense, molto più che uno spettatore interessato. «Non è possibile sperare nella misericordia dell'imperialismo. Washington ha tutto a portata di mano perché un minimo errore sia pagato molto caro. Nell'implemetazione di un programma rivoluzionario gli errori sono inevitabili. Invece l'assenza di una strategia anti-imperialista, il rifiuto verso l'organizzazione e la partecipazione delle masse, la difesa del capitalismo, porta necessariamente alla vittoria delle forze reazionarie».

Secondo l'analisi di Luis Bilbao, un ruolo fondamentale per non interrompere il cammino intrapreso dalle forze progressiste e socialiste della regione sarà giocato dai paesi dell'Alba in maniera congiunta a quei «partiti e movimenti sociali disposti a concordare un piano d'azione, un'organizzazione regionale e una strategia di emancipazione».


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