La scomparsa dei fatti: dov'è finita la catastrofe neoliberista in Argentina?



di Fabrizio Verde

C’è un grande assente nelle notizie provenienti dall’America Latina: si tratta del catastrofico bilancio frutto dell’applicazione del liberismo più selvaggio, per un anno, in Argentina.

Tutto ha avuto inizio quando alle elezioni ha vinto per un pugno di voti Mauricio Macri, avendo la meglio sul candidato espressione del kirchnerismo Daniel Scioli. L’imprenditore di origini italiane ha prevalso sull’avversario utilizzando una narrazione mendace: in campagna elettorale ha quasi esclusivamente parlato di maggiore efficienza e lotta a presunti ‘sprechi’. Una volta eletto, alla prova concreta dei fatti il discorso è stato molto diverso.

In un anno al potere, Mauricio Macri, presenta un bilancio che si può definire con un solo termine: catastrofico. Le principali tariffe, ossia acqua, energia elettrica e gas hanno subito forti rincari che vanno dal 200% al 2000%. L’inflazione ha fatto registrare un’impennata che l’ha portata al 50%, mentre la moneta nazionale, il Peso, si è svalutato del 40%.

La politica di austerità selvaggia imposta dal regime macrista ha avuto un impatto drammatico sulle classi popolari, la vita economica e lo sviluppo del commercio. Secondo la Chiesa Cattolica 1,4 milioni di argentini sono scesi sotto la soglia di povertà. Nella capitale Buenos Aires, il tasso di povertà è passato dal 20% al 33%. Secondo dati resi noti dall’Istituto Nazionale di Statistica e Censimento (INEC), il 32% vive in povertà - quindi parliamo di 8,7 milioni di persone - mentre 1,3 milioni di persone, il 6,3% degli argentini, vive in condizioni di povertà estrema.

Non va meglio dal punto di vista del lavoro, nell’ultimo anno sotto la gestione Macri, si sono verificati bel 200.000 licenziamenti. Un’ondata che sembra non conoscere fine.

Senza dimenticare la decisione del governo di permettere alle imprese produttrici di aumentare del 6% il prezzo della quota mensile a partire dal 1 di febbraio. Aumento che va ad aggiungersi al 9% già decretato nello scorso agosto.

Il risultato delle politiche applicate da un governo neoliberista fino al midollo e composto in larga parte da uomini provenienti dalle fila di multinazionali è sotto gli occhi di tutti, tranne che della stampa mainstream, evidentemente troppo impegnata a diffamare il socialismo bolivariano che resiste nonostante i colpi sempre più forti portati da un’implacabile guerra economica. Una stampa che ‘distratta’ da improbabili ingerenze russe su elezioni e referendum in giro per il mondo, finge di non vedere le sofferenze che patisce il popolo argentino.

Secondo quanto rivelato dall’Istituto di Statistica e Censimento dell’Argentina (INDEC) le disuguaglianze sociali sono letteralmente esplose. Il 10% della popolazione più ricca ha ottenuto entrate di 25,6 superiori rispetto al 10% di popolazione più povera.

Gli argentini più poveri vivono con 1.370 pesos (85 dollari) al mese, mentre i più ricchi possono godere di 34.998 pesos (2.173 dollari). Viene da chiedersi dove sono quegli stessi media e opinionisti vari sempre pronti a fustigare il Venezuela bolivariano che ha provveduto ad aumentare del 50% salari e pensioni per difendere il reddito dei lavoratori da guerra economica e inflazione indotta.

L’Argentina ha chiuso l’anno 2016 con una caduta del 3,8% del PIL nel terzo trimestre, mentre l’attività industriale ha subito una contrazione del 4,1%.

Il tutto avviene mentre il presidente Mauricio Macri che in campagna elettorale aveva promesso di portare il livello di povertà in Argentina a zero, si rimangia la promessa dicendo che questo è impossibile.

A chi afferma, con evidente disonestà intellettuale, che il socialismo ha portato il Venezuela allo sfascio, bisognerebbe chiedere il neoliberismo selvaggio dove sta conducendo l’Argentina? La risposta è facile: allo stesso drammatico punto dove si trovò agli albori del nuovo secolo.

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