Venezuela: al Foro di San Paolo, il ritmo caparbio della Rivoluzione Bolivariana



di Geraldina Colotti

Musica e canti, al ritmo caparbio della rivoluzione bolivariana. Nel salone Bicentenario dell’Hotel Alba Caracas, comincia così la plenaria d’apertura del Foro di San Paolo n. 25. L’orchestra nazionale Simon Rodriguez si esibisce in una salsa trascinante, poi lascia il posto a un gruppo danzante palestinese e a un ragazzino che legge magistralmente una poesia di Mahmoud Darwish. La sala – oltre 700 rappresentanti di 190 partiti comunisti, progressisti, movimenti popolari, provenienti da tutti i continenti – si alza in piedi. Per tutta la giornata, il presidente dell’Assemblea Nazionale Costituente, Diosdado Cabello, ha tenuto al collo la kefia, simbolo della Palestina occupata.
L’autodeterminazione dei popoli è al centro di questo incontro e ha sempre dettato l’agenda del governo bolivariano, sia quella di Hugo Chavez che quella di Nicolas Maduro, che ha assunto la presidenza del Movimento dei Non Allineati (la seconda organizzazione internazionale per grandezza dopo l’ONU) durante il suo primo mandato.

“Questo è un luglio di vittoria, riscatto e memoria storica”, dice dal palco degli organizzatori Adan Chavez, fratello maggiore e mentore del comandante. Nel giorno della sua nascita, il 28 luglio di 65 anni fa, si concluderanno le giornate del FSP: dapprima si produrrà la dichiarazione finale, poi ci si sposterà al Cuartel de la Montagna, dove riposano i suoi resti. Il 24 luglio, in tutta l’America latina si è ricordata la nascita del Libertador Simon Bolivar, nel 1783. Il 25, data della fondazione di Caracas (1567), è anche la giornata dedicata alle native afro-latinoamericane, come ha ricordato Carolis Pérez, conduttrice dell’incontro. Il 26 luglio, a Cuba si celebra l’assalto della caserma Moncada da parte dei guerriglieri guidati da Fidel Castro nel 1953. E al ruolo di Cuba nella rivoluzione bolivariana, e presente ai massimi livelli al FSP, hanno reso omaggio tutti gli interventi.

Unità, integrazione e un’agenda di lotta comune da articolare in tutta la regione e a livello mondiale. Questa l’aspettativa espressa da Adan Chavez in merito alla dichiarazione finale, che sempre il Forum emette in conclusione. Al centro, la difesa del Venezuela bolivariano e il suo “diritto a vivere in pace e a decidere del proprio destino”. Dai partecipanti ci si aspetta che tornino nei propri paesi per denunciare “il golpe continuato, condotto a molteplici livelli – istituzionale, diplomatico, mediatico – da parte dell’imperialismo, che è entrato in campo direttamente e proprio in questi giorni ha emesso nuove sanzioni.

Se il governo fosse inviso al popolo - ha proseguito Adan – ai visitatori presenti al FSP sarebbero pervenute denunce di repressione e tortura, assenza del diritto di espressione eccetera, e non ringraziamenti per l’appoggio e la solidarietà come sta avvenendo per strada con le delegazioni. Un’accoglienza confermata durante il lungo giro all’interno degli stand della Fiera del libro di Caracas, in corso nel Teatro Carreno. Giovani, ambientalisti, donne incinte che hanno illustrato i benefici del “parto umanizzato”, popoli originari che hanno celebrato cerimonie augurali, hanno applaudito le delegazioni e i dirigenti del PSUV: Tania Diaz, Dario Vivas, Roy Daza…

Un governo che fosse così inviso come farebbe a resistere da vent’anni? Adan ha ricordato la più importante eredità lasciata da Hugo Chavez: l’unione civico-militare, maturata nella resistenza alle “democrazie camuffate” della IV Repubblica e consolidata nel proceso bolivariano, e poi la formazione della milizia. Un’eredità che impedisce all’imperialismo nordamericano e ai suoi vassalli di azzerare la rivoluzione bolivariana, più che mai decisa a non tornare indietro.

“Siamo qui per dire a Trump che Venezuela non è sola”, ha detto Monica Valente, segretaria esecutiva del Forum di San Paolo e rappresentante del Partito dei Lavoratori Brasiliani, denunciando le sanzioni criminali contro il Venezuela e il feroce blocco economico che perdura contro Cuba. La brasiliana, che indossava la maglietta con la scritta “Lula libero”, ha espresso appoggio “al presidente Maduro, uomo di pace, e al dialogo da lui voluto, in corso con l’opposizione”. E a questo punto, la sala si è alzata in piedi scandendo “Vamos, Nico”.

Forte anche la denuncia contro gli assassinii in Colombia e il tentativo del governo di seppellire ancora una volta nel sangue l’accordo di pace concluso dall’ex presidente Santos con la guerriglia Farc, trasformatasi poi in partito politico presente in parlamento. In due anni, sono già 137 gli ex guerriglieri ammazzati impunemente, ha denunciato la delegazione colombiana presente, annunciando la giornata di manifestazione che si svolge oggi 26 in tutto il paese e che vedrà mobilitazioni solidali anche fuori.

Grazie alla mobilitazione popolare si è prodotta una nuova crisi a Porto Rico, dove si è dimesso il governatore dello “stato libero associato”, fantoccio del colonialismo nordamericano. La delegazione indipendentista ha ricevuto una calorosa accoglienza al Foro, che ha ribadito l’impegno a sostenere l’autodeterminazione dei popoli, la lotta alla giudiziarizzazione della politica che ha portato in carcere Lula da Silva in Brasile o Jorge Glass in Ecuador, e l’appoggio a quei presidenti che, come Evo Morales in Bolivia, stanno mantenendo aperta la prospettiva della Patria Grande sognata da Bolivar.

“Venezuela e Colombia una sola bandiera, Cuba e Nicaragua una sola bandiera”, ha detto Diosdado Cabello, concludendo l’incontro. Il vicepresidente del PSUV ha ripreso alcuni argomenti anticipati nel suo seguitissimo programma Con el mazo dando, nel quale sbugiarda con ironia le sparate dell’opposizione. “Apprezzano le elezioni solo quando le vincono, come nella IV Repubblica quando i risultati venivano annunciati da un canale televisivo e non dal CNE, perché il vero vincitore se l’era già vendute senza che nessuno avesse da ridire”, ha ricordato riferendosi alle elezioni del 1993 e alle denunce di brogli nei confronti di Rafael Caldera. “E se arrivano al potere – ha aggiunto – si fanno beffe di quell’alternanza che sbandierano a ogni piè sospinto anche insieme a una certa sinistra a cui piacciono le elezioni in cui si vota ma non si elegge. Che cosa farebbero in Venezuela? Quel che hanno fatto in Brasile, mettendo in galera Lula, quel che stanno facendo in Argentina, in Ecuador, in Honduras…”

E mentre la nutrita delegazione honduregna scandiva lo slogan gridato nelle proteste che chiedono le dimissioni del presidente fraudolento Juan Orlando Hernandez – “Fuori JOH” – Cabello ha proseguito: “All’imperialismo duole che durante la riunione dei ministri degli Esteri, 120 paesi del MNOAL si siano schierati a difesa di Nicolas Maduro. E così ci attaccano, e così hanno colpito nuovamente la rete elettrica. E così, in occasione del Foro di San Paolo, annunciano nuove sanzioni. Però, e lo diciamo con molta umiltà, non ci arrenderemo: perché stiamo facendo una rivoluzione. Avremmo potuto andare più in fretta e non ci siamo riusciti, e per questo vi chiediamo scusa, ma stiamo facendo una rivoluzione: un proceso in cui il popolo decide e il potere significa poter fare. Una rivoluzione allegra e battagliera. Abbiamo tante ragioni per farla, almeno da duecento anni. Oggi difendiamo la rivoluzione per tutti i popoli.

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