A Congresso i giovani, militari e civili. In Venezuela avanza il futuro



di Geraldina Colotti

Un mare di rosso e verde oliva, un mare di giovani, civili e militari insieme. Marciano al ritmo inarrestabile e gioioso della rivoluzione bolivariana. All’attacco dell’imperialismo, il Venezuela socialista risponde con tre giorni di congresso internazionale dei giovani e degli studenti. Alla fine della marcia, ragazzi e ragazze vengono ricevuti a Miraflores, il palazzo presidenziale: “la casa del popolo”, dice Maduro dal palco, accompagnato dai giovanissimi dirigenti delle organizzazioni universitarie e studentesche.

In maggioranza, sono giovani donne. Ci sono due ragazze anche ai vertici delle organizzazioni dei cadetti e dell’università della Forza Armata Nazionale Bolivariana: “Per la prima volta da 200 anni”, dice Rodbexa Poleo, segretaria generale della Gioventù del Partito Socialista Unito del Venezuela (JPSUV), anfitriona delle giornate.

Notizie che non troveremo sui media europei, pronti a ripetere la versione della destra, secondo la quale i pochi manifestanti di opposizione diventano sempre milioni. E nemmeno vedremo i due giovanissimi soldati – un ragazzo e una ragazza – tenere un discorso al manipolo di studenti della parte avversa, che indossano magliette con il simbolo di Otpor, l’organizzazione della Cia per la balcanizzazione del continente.

Sono venuti a consegnare ai militari un documento e a invitarli ad “abbandonare la dittatura”. I soldati parlano loro della guerra economica, del blocco degli USA che impone sofferenze al popolo. Spiegano che, in paesi come il Cile o la Colombia non potrebbero neanche avvicinarsi ai militari perché riceverebbero piombo, mentre in Venezuela questo non succede perché si tratta di un esercito del popolo.

Nel salone Bicentenario dell’Hotel Alba Caracas, dove si sono svolte le giornate del Congresso, campeggia una gigantografia di Mao che annuncia l’incontro internazionale e ricorda che l’imperialismo “è una tigre di carta”. Nel suo intervento alla platea di giovani, la vicepresidente, Delcy Rodriguez, ha parlato di quel che sta accadendo in Venezuela e nel continente: “Il sistema capitalista – ha detto - è oppressivo per sua natura, fomenta la violenza a partire dalla relazione di produzione. Impone un modello che genera ricchezza per la élite e povertà per la maggioranza. Secondo le stesse statistiche del Fondo Monetario Internazionale, ci sono 71 milioni di giovani disoccupati nel mondo”.

Una realtà che contrasta con quella della rivoluzione bolivariana la quale, nonostante il feroce blocco economico costruisce “un cammino di inclusione e giustizia”. Contenuti ripresi anche dal ministro degli Esteri Jorge Arreaza che ha invitato i giovani a prendere il testimone lasciato dai rivoluzionari che hanno fatto grande l’America Latina nel secolo scorso. Anche Arreaza ha voluto sottolineare l’importanza della presenza femminile nella direzione della rivoluzione bolivariana.

“Questo significa fare una rivoluzione, una profonda rivoluzione, una rivoluzione femminista”, ha detto Maduro, che ha festeggiato il suo 57mo compleanno insieme ai giovani chiudendo le giornate del Congresso. Una chiusura entusiastica, tra canti e slogan in tutte le lingue, scanditi dai delegati dei cinque continenti. Nella dichiarazione finale hanno trovato spazio tutte le rivendicazioni e le resistenze che i popoli stanno sostenendo con forza nel continente, scontando la repressione feroce dei governi neoliberisti graditi a Washington: in Cile, in Colombia, in Bolivia…

I giovani hanno fatto proposte concrete, tutte accettate e rilanciate dal presidente, che ha comunicato sostanziali aumenti di risorse destinate alle borse di studio. Verranno messi a disposizione delle università 35 mila ettari di terra per produrre direttamente quel che serve alle mense studentesche. Il presidente ha sottolineato nuovamente l’importanza del dialogo e, rivolgendosi agli studenti di opposizione, ha detto: “Oggi gridavano ‘Per l’autonomia, contro la tirannia’, ossia gridavano che vogliono rovesciarmi. Bene, che lo facciano, ma nel frattempo che si mettano a lavorare per migliorare le mense, per migliorare le cose…Io gli tendo la mano.”

L’educazione come diritto e non come merce – hanno ribadito sia il giovane ministro dell’Educazione universitaria, Cesar Trompiz, sia il ministro dell’Educazione Aristobulo Isturiz, “il profe”. L’educazione gratuita è un bene prezioso che, sull’esempio del Venezuela, potranno ottenere anche gli studenti cileni, colombiani. Un augurio che la platea ha assunto come una promessa, stendendo una dichiarazione finale molto chiara al riguardo. Contro la manipolazione dei media, il Congresso ha proposto la creazione di una nuova rete di comunicazione, di una piattaforma che consenta di dar conto direttamente di tutte le lotte dei giovani e degli studenti, di far circolare le idee. Contro lo strapotere della comunicazione dominante – ha detto Maduro – occorre costruire un “contropotere ribelle, per questo serve una nuova piattaforma della comunicazione”.

Il presidente dell’Assemblea Nazionale Costituente, Diosdado Cabello, ha ripercorso il cammino della rivoluzione bolivariana e dell’unione civico-militare coniata da Chavez. Ha ricordato la repressione e la tortura perpetrate dalle democrazie dell’alternanza, nate dal Patto di Punto Fijo, durante la IV Repubblica. “Non permetteremo che la storia si perda, che si perda il sacrificio dei martiri”, ha detto rivolto ai giovani. “Siete nell’età dell’audacia – ha aggiunto – potere osare, fare una rivoluzione. Alla vostra età non c’è posto per il riposo, né per la paura”.

Poi, anche Diosdado ha sottolineato l’importanza che l’università sia pubblica e gratuita: “Perché se la borsa di studi te la paga l’imprenditore, a chi dovrai rispondere, poi?”, ha chiesto ai giovani, mettendoli in guardia contro le trappole dell’imperialismo: “Non arrendetevi di fronte alle minacce dell’imperialismo – ha detto – non credete agli USA. Fare una rivoluzione, non è facile, chi lo crede è perché non ha intenzione di farla davvero. In Venezuela – ha concluso – anche se gli Stati Uniti riescono a entrare, non è detto che riescano poi a uscire”. Per questo, la parola d’ordine consegnata dal Congresso alle delegazioni venute dai cinque continenti è stata: “Internazionalizziamo la lotta, internazionalizziamo la speranza”.

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