El Salvador: il presidente Bukele fa irruzione in Parlamento con l'esercito. I media mainstream minimizzano



di Fabrizio Verde

Fino a questo momento il giovane presidente di El Salvador, Nayib Bukele, aveva fatto parlare di sé per aver scattato un selfie dal podio delle Nazioni Unite prima di suo intervento e per aver riportato il paese nell’orbita degli Stati Uniti dopo che i governi guidati dall’FMLN (partito da cui è fuoriuscito) avevano allontanato il paese centroamericano dal tracotante paese del Nord America.

Adesso torna al centro delle scene per un accadimento molto grave. Venerdì scorso, Bukele e il Consiglio dei ministri hanno invocato l'articolo 167 della Costituzione per convocare straordinariamente deputati e costringerli a incontrarsi nella giornata di domenica per approvare il loro piano di sicurezza.

Questa iniziativa dell'Esecutivo, chiamata "controllo territoriale", implica un prestito di 109 milioni di dollari per rafforzare la sicurezza del Paese e combattere le bande. Per fare questo Bukele ha ben pensato di minacciare il Parlamento con l’esercito. I militari hanno infatti fatto irruzione armati di tutto punto nella sede dell’assemblea legislativa a San Salvador per costringere i parlamentari ad approvare il piano del presidente.

Bukele ha quindi partecipato accompagnato da agenti di polizia e militari armati e, dopo un’orazione nel luogo riservato al presidente dell'Assemblea, ha ordinato l'inizio della sessione, anche se non si poteva tenere perché mancava il quorum necessario a far partire i lavori.

In una sessione straordinaria, il Parlamento ha richiesto che il presidente salvadoregno desista dalle sue minacce, ultimatum e uso delle forze armate per sciogliere l'organo legislativo.

Inoltre, il potere legislativo ha "fortemente" condannato l'irruzione delle strutture e ripudiato "i continui insulti e minacce" ai deputati, nonché la loro persecuzione.

Il gruppo parlamentare femminile - integrato dai deputati di tutte le forze politiche - ha denunciato atti di violenza e molestie.

Tra le accuse vi sono azioni di sorveglianza fuori dalle case dei parlamentari a scopo di intimidazione per far sì che domenica avesse luogo la sessione parlamentare richiesta dal presidente.

L’azione di Bukele, eletto nello scorso giugno, ha trovato la condanna bipartisan dai legislatori di sinistra del Fronte Farabundo Martí per la Liberazione Nazionale (FMLN); da destra, dell'Alleanza Repubblicana Nazionalista (Arena); e anche del Partito Democratico Cristiano.

Perfino la Camera Costituzionale della Corte Suprema di Giustizia ha ordinato a Bukele di astenersi dall'utilizzare le forze armate per scopi diversi da quelli stabiliti nella Costituzione.

L'organo giudiziario ha ordinato all'esecutivo di «astenersi dall'utilizzare le forze armate in attività contrarie agli scopi costituzionalmente stabiliti».

Il procuratore generale di El Salvador, Raúl Melara, ha dichiarato che indagherà "se è stato commesso un crimine" nella militarizzazione del parlamento ordinata dal presidente Nayib Bukele, nel contesto di un conflitto di poteri che ha generato critiche da parte di governi e organizzazioni internazionali.

Il grave atto compiuto intimidatorio, quasi un autogolpe, compiuto da Bukele è stato però minimizzato dai soliti media mainstream. Ad esempio Repubblica si limita a definire quanto accaduto un «gesto eclatante» di un «classico politico popolare millennial di 38 anni».

Scommettete che se una cosa simile fosse accaduta in Venezuela o qualsiasi altro Stato con un governo socialista, o quantomeno non prono ai voleri di Washington, le parole e i toni utilizzati sarebbero stati ben diversi?

Ormai li conosciamo bene, e possiamo rispondere di sì senza temere alcuna smentita.

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