Maduro scrive al popolo statunitense: "Riconosciamoci nel sogno di Martin Luther King"



di Geraldina Colotti

A un lettore europeo che non si interessi alla politica internazionale e si limiti a scorrere i titoli del giornale, del Venezuela resterebbero comunque in testa due chiodi fissi: “Maduro dittatore”, il governo bolivariano è un “regime dittatoriale”. Le cose vanno ancora peggio se si tratta di radio o di televisione, dove l’informazione è ancora più rapida, ma rimane più impressa perché associata a un’immagine.
Tanto meno un lettore giovane intenderà immediatamente cosa significhi la “formula Noriega” che Trump vorrebbe applicare al Venezuela, ma di sicuro nella sua testa la definizione di “narco-dittatura” s’incastrerà perfettamente con il ritornello mediatico che è abituato a sentire.

Premesso che la figura cristallina del presidente venezuelano Nicolas Maduro non consente accostamenti con quella ambigua di Noriega, richiamando esplicitamente l’aggressione di Panama, iniziata il 20 dicembre del 1989, l’amministrazione nordamericana evoca un preciso scenario. Quella operazione viene infatti considerata come il primo atto di un copione che gli Stati Uniti avrebbero poi riattivato altre volte.

Emerge infatti il ruolo dei media e i pretesti usati per giustificare l’aggressione: il “ripristino della democrazia” contro un “dittatore narcotrafficante”, e la “necessità di proteggere i cittadini statunitensi presenti nell’area del Canale di Panama”, il cui controllo costituiva il motivo principale dell’intervento militare.

Anche per giustificare il nuovo attacco contro il Venezuela bolivariano, e inviare una flotta militare di fronte alle coste venezuelane e messicane, preludio a un blocco navale, Trump e il suo segretario alla Difesa, Mark Esper, hanno utilizzato motivazioni analoghe: “Non permetteremo – hanno detto – che i cartelli della droga minaccino la sicurezza dei cittadini degli Stati Uniti approfittando della pandemia”. E gli scenari che si aprono sono altrettanto inquietanti di quelli già visti in tutte le situazioni in cui il gendarme nordamericano ha voluto “ripristinare la democrazia”.

Per questo, assume particolare importanza l’appello rivolto da Maduro al popolo statunitense falcidiato dal coronavirus e dalla torva ottusità del cowboy del Pentagono. Dopo aver espresso solidarietà, dolore e costernazione, per le conseguenze causate negli Stati Uniti dal coronavirus, il presidente venezuelano ha messo in guardia il popolo nordamericano circa le manovre militari di Trump e le sue reali motivazioni, in questo anno di elezioni presidenziali per gli USA.
Con il pretesto della lotta alla droga, basate su “accuse infami” – ha scritto Maduro – Trump ha ordinato “il più grande dispiegamento militare visto da trent’anni nella nostra regione, con l’obiettivo di minacciare il Venezuela e portare la regione a un conflitto bellico costoso, sanguinoso e di durata indefinita”.

Il presidente venezuelano ha spiegato gli antecedenti che hanno preparato questa operazione, messa in moto il 26 di marzo da William Barr: “Un Procuratore Generale di dubbia indipendenza, poiché consigliò l’invasione di Panama contro Noriega e aiutò a coprire le irregolarità dello scandalo Iran-Contras”. Benché le informazioni dello stesso dipartimento nordamericano dimostrino che il Venezuela non è una via di transito principale della droga che va verso gli Stati Uniti, mentre lo sono paesi alleati degli USA come Colombia o Honduras, Barr ha accusato di narcotraffico alcuni dirigenti del proceso bolivariano, a partire dal presidente.

Dopo aver denunciato una volta ancora le criminali misure coercitive e unilaterali che impediscono al paese bolivariano l’acquisto di farmaci, quanto mai vitali per far fronte alla pandemia, Maduro ha ricordato al popolo nordamericano la differenza tra il governo bolivariano e quello di Trump. “Oggi la crisi si aggrava – ha detto – semplicemente perché Trump non è disposto a trasformare il sistema sanitario a vantaggio della popolazione e non del profitto dei privati, delle compagnie di assicurazione e di quelle farmaceutiche”.

In Venezuela – ha aggiunto il presidente – “non vogliamo un conflitto armato nella nostra regione, ma relazioni fraterne, di cooperazione, interscambio e rispetto. Non possiamo accettare minacce militari, né blocchi, e tantomeno l’intenzione di metterci sotto tutela internazionale”. Quello di Trump, è invece un piano che “viola la nostra sovranità e nega i progressi dell’ultimo anno compiuti nel dialogo politico sincero tra il governo e gran parte dell’opposizione venezuelana che cerca soluzioni politiche e non guerra per il petrolio”.

Al riguardo, Maduro ha recentemente attivato il Consiglio di Stato, un organismo di emergenza, previsto dalla Costituzione bolivariana, all’interno del quale il presidente dell’Assemblea Nazionale, Luis Parra, a nome dell’opposizione non golpista, ha sottoscritto un nuovo appello all’unità nazionale che respinge ogni tipo di ingerenza esterna.

Perciò, Maduro ha chiesto al popolo statunitense di “fermare la pazzia di Trump”, riconoscendosi nel sogno comune di Martin Luther King che, come disse una volta Hugo Chavez, “è anche il sogno del Venezuela e del suo governo rivoluzionario”.

Un appello che, una volta di più, mostra la superiorità morale del socialismo bolivariano e del suo presidente rispetto al cacciatore di taglie della Casa Bianca e ai suoi vassalli, come il presidente colombiano Duke. Il figlioccio di Uribe è arrivato fino a rifiutare due macchine per riscontrare il coronavirus che Maduro avrebbe voluto inviargli. Trump ha altresì negato al governo bolivariano la sospensione delle “sanzioni” alla compagnia aerea Conviasa, per permettere il ritorno a casa di centinaia di cittadini venezuelani dagli Stati Uniti. E mentre il governo bolivariano sta accogliendo alle sue frontiere centinaia di concittadini che tornano a piedi dall’Ecuador o dal Brasile, già diverse voci si levano in risposta alla lettera di Maduro. Il noto regista Oliver Stone ha denunciato “la mancanza di decenza e di umanità” della politica estera nordamericana la quale – ha detto -, “anche in piena pandemia, non fa altro che aumentare misure coercitive che causeranno una sofferenza molto seria alla popolazione venezuelana”.

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