Pino Arlacchi - Come la Cina ha sconfitto la povertà senza il capitalismo

02 Gennaio 2021 16:55 Pino Arlacchi

Ho iniziato l’anno come al solito, leggendo le solite cose sui soliti giornali. Ma ad un certo punto sono inciampato in qualcosa di strano: un reportage del New York Times, in prima pagina, sulla eliminazione della povertà a Gansu, la provincia più povera della Cina. Seguito da una batteria di 107 commenti, quasi tutti favorevoli sia al taglio che ai contenuti del pezzo.

Sono abbonato a quel giornale da decenni, e non mi era mai successo di trovarvi un articolo non negativo sulla Cina. E ancor più, di trovarvi commenti dei lettori così ben informati e incisivi su un argomento alquanto specifico, normalmente trattato di sfuggita dalla grande stampa.

L’autore del pezzo descrive i dettagli di alcune misure contro la povertà messe in atto dal governo cinese: i sussidi, i prestiti, i contributi a fondo perduto, gli aiuti materiali - dalle vacche e alle case in poi - distribuiti agli ultimi 50 milioni di “poveri assoluti” rimasti in Cina fino al loro esaurimento nel corso del 2020.

Il taglio del resoconto non è, come detto, negativo, ma è critico (“cerchiobottista”nel gergo giornalistico italiano). Il successo complessivo dell’impresa “comunista” di riduzione della disuguaglianza viene sminuito dai dubbi – messi in bocca al burocrate di turno della Banca Mondiale - sulla sua sostenibilità e sui suoi ingenti costi: può la Cina permettersi di continuare a spendere 700 miliardi di dollari in 5 anni, 140 all’anno, pari a quasi l’1% del suo PIL annuale, per rendere sostenibile la sua vittoria contro la povertà?

La risposta arriva dai commenti dei lettori, che forniscono approfondimenti e pezzi di informazione originali sulla strategia cinese contro la povertà. Questa non si basa sui soli trasferimenti alle persone (che sono comunque consistenti), ma sulla costruzione di infrastrutture e su incentivi mirati proprio alla sostenibilità dei risultati. Nel quadro di un coinvolgimento dell’intera società, anche della parte più ricca e urbanizzata, in una colossale operazione di solidarietà strutturata:

«Quasi ogni ufficio dello Stato, ogni impresa pubblica e molte aziende private sono coinvolte (nell’aiuto alle zone povere). Quasi ogni residente urbano negli anni recenti è stato invitato ad acquistare prodotti provenienti dalle aree più marginali del paese. I giovani manager delle agenzie e delle aziende pubbliche sono stati spinti da incentivi e avanzamenti di carriera ad andare nelle regioni rurali come leader dei progetti contro la povertà. Questi giovani professionisti si impegnano di norma per 5 anni a lavorare assieme agli abitanti dei villaggi poveri per individuare i prodotti locali suscettibili di attrarre i consumatori urbani».

Le vacche regalate ai contadini che fanno il titolo dismissivo del New York Times sono solo la punta di un iceberg. Che viaggia a latitudini molto lontane da quelle del capitalismo contemporaneo.

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