Seul si smarca dai piani di guerra contro la Cina



PICCOLE NOTE

La Corea del Sud ha ospitato un summit tra Giappone e Cina, teso ad alleviare le tensioni sempre più crescenti della regione, al quale hanno partecipato il viceministro degli Esteri sudcoreano Chung Byung-won, il viceministro degli Esteri giapponese Takehiro Funakoshi e l’assistente del ministro degli Esteri cinese Nong Rong (al Jazeera).

Benché la Seul e il Tokyo abbiano un ruolo da protagonisti nella strategia indo-pacifica degli Stati Uniti volta a contenere la Cina, il vertice indica che Tokio e Seul percepiscono i rischi che tale strategia porti a un conflitto su ampia scala con Pechino, del quale sarebbero le prime vittime, e stanno tentando di porre qualche argine.

L’iniziativa di Seul mette in evidenza che la Corea del Sud sta cercando dei propri spazi di libertà rispetto a tale strategia, come dimostra con ancor più evidenza l’incontro di sabato scorso tra il primo ministro sudcoreano Han Duck-soo e il presidente cinese Xi Jinping, avvenuto ai margini dei Giochi asiatici di Hangzhou.

Seul: possibile una svolta del rapporto con la Cina

Un incontro produttivo, dal momento che subito dopo, Cho Tae-yong, consigliere per la sicurezza nazionale del presidente sudcoreano Yoon Suk-yeol, ha detto che il suo Paese sta lavorando per organizzare una visita di Xi a Seul, da tenersi nel prossimo anno.

“Prevediamo che questo sarà un punto di svolta nelle relazioni Corea-Cina“, ha detto Cho. “Questo è l’obiettivo che dobbiamo raggiungere” (Japan Times). A sua volta, il presidente cinese ha detto che “prenderà in seria considerazione” la proposta (Reuters).

Xi Jinping Primo Ministro della Corea del Sud Han Duck-soo all’incontro avvenuto ai Giochi Asiatici

Non solo, Han Duck-soo, in partenza per i giochi, si era detto disponibile a un incontro con la delegazione nordcoreana (Korea Times), che però non si è concretizzato.

Tutto ciò mentre la Corea del Sud è lacerata da un conflitto politico senza precedenti. Il parlamento, controllato dal partito democratico – che però è all’opposizione – negli ultimi giorni ha approvato due mozioni distinte di portata storica per il Paese.

La prima è stata la concessione dell’autorizzazione a procedere contro il leader del partito democratico Lee Jae-myung, approvando in tal modo una richiesta della magistratura che accusa il leader politico di varie malversazioni.

Da notare che i magistrati avevano già provato a portarlo alla sbarra, ma il parlamento aveva bocciato la prima richiesta, essendo controllato dal partito di Lee. Stavolta, però, il voto di alcuni transfughi ha portato a un esito diverso.

Lee, che ha opposto una strenua resistenza ai magistrati – anche con un inusuale sciopero della fame – accusandoli di finalità politiche, si è dovuto presentare in tribunale come un Trump qualsiasi (Yonhap agency).

Ma il suo partito è corso subito ai ripari nominando un suo successore, che poi è della stessa cordata di Lee, e annunciando che avrebbe comunque vinto le prossime elezioni, che si terranno nel 2024 (Yonhap agency).

Lee e l’equidistanza tra Cina e Stati Uniti

È da notare che Lee si è “espresso contro un’alleanza militare trilaterale tra il suo paese, gli Stati Uniti e il Giappone, definendola ‘non necessaria’ in quanto probabilmente approfondirà la crescente rivalità tra i due blocchi di potere contrapposti”. (e, infatti, la Corea del Nord ha ormai creato un’alleanza strategica con Mosca, mentre i rapporti di quest’ultima con Pechino si sono rafforzati).

Evidentemente, mettersi in palese contrasto con l’Alleanza atlantica – e le sue propaggini orientali – non porta bene nemmeno in Asia, come dimostra l’esempio dell’ex primo ministro pakistano, ancora costretto in carcere (vedi Piccolenote).

La seconda decisione storica del parlamento sudcoreano, votata in parallelo alla precedente, è stata l’approvazione di una mozione di sfiducia nei confronti del premier Han Duck-soo, che è stato eletto come indipendente dai partiti. Il voto, però, potrebbe non avere alcun esito non essendo vincolante (al Jazeera). Ma è la prima volta che accade qualcosa del genere in Corea del Sud…

Insomma, Seul sta attraversando un momento di grande lacerazione e sta subendo pressioni immani per intrupparsi nella crociata anti-cinese. Eppure, nella tempesta, sta cercando di trovare un orientamento che la porti lontana dagli scogli, che poi sarebbero il conflitto aperto con Pechino. Tale, infatti, la rotta disegnata per lei dagli strateghi dell’Indo-pacifico.

La guerra con la Cina del 2025

Ad oggi il conflitto con Pechino sembra un destino manifesto, nonostante alcuni passi distensivi compiuti dall’amministrazione Biden. Tanto che, nel gennaio scorso, ha fatto scalpore la profezia del generale Mike Minihan, comandante in capo dell’Air Mobility Command, che in un promemoria ha messo nero su bianco che nel 2025 ci sarà una guerra USA-Cina.

“Spero di sbagliarmi”, ha scritto Minihan in una nota interna, ma diffusa sui social, ma osservo che Il presidente cinese Xi Jinping “si è assicurato il suo terzo mandato e ha istituito il suo consiglio di guerra nell’ottobre 2022. Le elezioni presidenziali di Taiwan si terranno nel 2024 e offriranno a Xi una motivazione [per attaccare… mah ndr]. Le elezioni presidenziali degli Stati Uniti si terranno nel 2024 e offriranno a Xi lo spettacolo di un’America distratta. L’apparato, la motivazione e le opportunità di Xi sono tutte allineate per il 2025”.

Lo abbiamo ricordato perché più di recente il generale si è ripetuto e, pur dichiarando che “la guerra non è inevitabile”, ha ribadito l’esattezza di quel memo, dal momento che “la prontezza che sto dimostrando con questa linea temporale è assolutamente essenziale per la deterrenza e la vittoria decisiva. È necessario che ci sia tensione sulla preparazione, qualcosa di più del semplice ‘essere pronti per stasera stessa’” (DefenseOne).

A fronte di tali mattane che non solo irritano l’antagonista ma rischiano anche incidenti di percorso, i passi distensivi – seppur limitati e timidi – degli attori regionali, i quali verrebbero devastati dall’eventuale guerra, sono più che benvenuti.

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