Rotta Artica. Mosca: "Il WWF del britannico Idsdell minaccia la sicurezza economica russa"

26 Giugno 2023 18:00 Fabrizio Poggi


di Fabrizio Poggi per l'AntiDiplomatico


Secondo le autorità governative russe, scrive il portale The Barents Obseerver, il WWF intende minare «i piani espansionistici del paese nell'Artico e il suo sviluppo della rotta marittima settentrionale».

A proposito delle attività del WWF, e del suo presidente, il britannico Nevill Isdell, la Procura generale russa ha infatti dichiarato che le «cosiddette attività ambientali ed eco-educative condotte sotto gli auspici del cittadino britannico N. Isdell, sono utilizzate dal WWF come copertura per lo sviluppo di progetti che costituiscono una minaccia per la sicurezza economica» russa.

Il WWF è attivo in Russia dal 1988, ha un ufficio a Mosca dal 1995 e distaccamenti regionali in tutto il paese. Nell'aprile 2023 la Fondazione Bellona è stata dichiarata “indesiderata” e nel maggio 2023 è stata la volta di Greenpeace.

«Le azioni repressive contro le organizzazioni ambientaliste» scrive il portale norvegese (ufficialmente bilingue, inglese-russo; ma, secondo prassi NATO, ora soltanto inglese) arrivano nello «stesso momento in cui la Russia sembra abbassare i suoi standard ambientali nell'Artico. Due nuovi documenti governativi minimizzano il cambiamento climatico».

In realtà, se le conclusioni esposte poche settimane fa dall'Accademia delle scienze russa, secondo cui il riscaldamento globale ha cause naturali e non è influenzato dall'uomo, può suscitare a tutta prima qualche perplessità, letto alla luce della Concezione della Politica estera russa, approvata lo scorso 31 marzo (e citata dal suddetto portale), assume altri contorni.

Ai primi tre punti del paragrafo 41 (Difesa dell'ambiente e Salute globale) della Concezione, si dice che allo scopo di migliorare la qualità ambientale, la Russia «presterà particolare attenzione a promuovere gli sforzi internazionali, scientificamente fondati e non politicizzati» ecc.; ampliare la cooperazione per «contrastare la politicizzazione delle attività internazionali climatiche e di difesa dell'ambiente», in particolare, quelle attuate per «concorrenza sleale, interferenza negli affari interni e limitazione della sovranità degli stati in rapporto alle loro risorse naturali».

Non sembra qui espressa alcuna “minimizzazione” o “abbassamento di standard ambientali”; ciò che si respinge sono gli obiettivi politici di determinati blocchi di stati, sottesi a certa propaganda “ambientalista”, condotta nell'interesse di determinati monopoli, verosimilmente a scapito di altri monopoli concorrenti: gli uni e gli altri con ambizioni planetarie.

Nello specifico dell'area artica, qualche mese fa, esponendo proprio le linee strategiche di sviluppo della Russia, Vladimir Putin diceva che la regione rappresenta «un concentrato di quasi tutti gli aspetti della sicurezza nazionale: militare, politica, economica, tecnologica, ambientale e delle risorse». Le coste russe costituiscono infatti il 53% di tutte le coste dell’Artico. Oltre il Circolo Polare Artico si produce il 10% del PIL russo e il 20% delle sue merci esportate.

Ancora qualche mese prima, nell'autunno del 2022, l'americana The Hill, esponendo alcune possibili conseguenze negative, per l'Artico, del conflitto in Ucraina, lanciava un appello a cercare una strategia di cooperazione con Mosca nella regione. Già allora, mentre due Paesi artici si apprestavano a entrare (la Finlandia vi è entrata lo scorso aprile) nella NATO e questa conduceva manovre militari nella regione, Lawson Brigham scriveva che era in forse la sopravvivenza stessa del Consiglio artico, di cui fanno parte Russia, Canada, Danimarca, Finlandia, Islanda, Norvegia, Svezia e USA (membri osservatori sono Cina, Corea del Sud, Giappone, India, Italia, Singapore, Svizzera) mentre si erano già interrotte le ricerche scientifiche condotte in comune, impegno principale sin dalla costituzione del Consiglio, a Ottawa, nel 1996.

Secondo la “normale” pratica liberal-democratica, già nel corso del 2022 scienziati e ricercatori universitari russi «con legami con il governo», sono stati praticamente tagliati fuori dalla collaborazione scientifica, senza preoccuparsi del fatto che le coste russe costituiscano oltre la metà delle coste artiche e la possibilità di studiarne il sistema naturale sia essenziale per capire i cambiamenti climatici nella regione.

Con la sospensione dei lavori del Consiglio, sono state anche tacitate le voci dei popoli indigeni dell'Artico, fino ad allora suoi membri permanenti. Altra conseguenza, di per sé evidente, scriveva Brigham, è il mutato rapporto di forze: quando anche la Svezia aderirà alla NATO, questa comprenderà sette degli otto paesi artici. D'altronde, le sanzioni occidentali e l'esodo di investitori stranieri dall'Artico russo hanno frenato lo sviluppo di nuovi progetti per il gas naturale liquefatto e spinto Mosca a indirizzarsi ancor più verso la Cina. Di più: «I Paesi artici della NATO hanno intensificato i monitoraggi militari nella regione, aumentato le operazioni di intelligence, le esercitazioni militari congiunte e il dispiegamento di forze navali e aeree».

Per quanto riguarda le rotte commerciali, Brigham pronosticava un calo della navigazione globale nell'Artico, in particolare nelle acque della sua parte russa; sospesi gli investimenti internazionali in qualsiasi sistema marittimo transartico, incentrati sull'utilizzo della rotta russa settentrionale; mutata anche la navigazione dalla parte russa dell'Artico, con petroliere e navi gasiere dirette non più verso porti europei, ma, lungo la rotta del Nord, attraverso il Pacifico, verso Cina e India.

In tutto ciò, scriveva Brigham, l'unica cosa indubbia è che il cambiamento climatico nell'Artico stia procedendo a un ritmo più veloce che in qualsiasi altro luogo sulla terra. Mentre le forniture energetiche all'Europa sono interrotte (Brigham dovrebbe chiedere il perché a Washington e Varsavia), nella parte russa dell'Artico continua l'estrazione di idrocarburi. La Russia, diceva Brigham, sta «ampliando la propria forza militare e utilizza le risorse energetiche come arma economica, nell'era della transizione globale verso un'economia senza emissioni di carbonio, con tutte le conseguenze economiche, sociali e ambientali che ciò comporta. Il conflitto ha cambiato i calcoli legati al cambiamento climatico. L'Artico sarà a lungo una fonte obbligata di idrocarburi».

Anche The Diplomat, nel dicembre scorso, scriveva che le sanzioni occidentali avevano aperto per la Russia nuove prospettive nell'Artico: nel commercio delle immense riserve di petrolio, gas, carbone e altri minerali russi, il posto dei “partner” occidentali viene ora preso da quelli asiatici, con ciò dando impulso allo sviluppo di un'arteria unica, quale la via marittima settentrionale, lungo l'enorme costa artica della Russia, dal mare di Kara fino allo stretto di Bering: un'arteria (si snoda da est dell'arcipelago di Novaja Zemlja, lungo il mare di Kara, tra i mari di Barents e di Laptev, quindi il mare della Siberia orientale) che Mosca intende trasformare in rotta internazionale di trasporto marittimo.

Lo scioglimento dei ghiacci marini, scriveva The Diplomat, ha reso le acque lungo la rotta settentrionale sempre più navigabili. Nel 2018, Putin aveva chiesto un aumento delle spedizioni lungo tale rotta fino a 150 milioni di tonnellate all'anno entro il 2030; nell'aprile 2022, il vice premier Jurij Trjutnev aveva dichiarato che, entro il 20230, lungo la rotta artica verrano trasportate 200 milioni di tonnellate di merci, anche se nel 2021 vi erano transitate appena 34 milioni di tonnellate.

Ma, tutte le osservazioni dei giornali americani, sembravano non tener conto di un fattore che sta rivelandosi determinante.

Pochi giorni fa, My?l Polska annunciava che, ancora qualche mese e la rotta artica rimarrà aperta tutto l'anno, invece del solo periodo luglio-novembre; e ciò, oltre agli effetti del riscaldamento climatico, grazie a un unico essenziale elemento: la flotta di rompighiaccio atomici della Russia o, più specificamente, del dipartimento “Atomflot” di Rosatom”, che dispone di sette rompighiaccio unici al mondo.

La storia della flotta atomica dell'URSS cominciò nel 1959 col rompighiaccio “Lenin”, cui seguirono il “Tajmyr” e il “Vajgac” (rompighiaccio fluviali). Oggi, tra i vascelli più anziani in servizio, ci sono il “Jamal” e il “50 anni della Vittoria”, alimentati da reattori OK-900A, con potenza pari a 75.000 cavalli; con velocità di 2 nodi, possono superare ghiacci di 2,7 metri di spessore. Più recenti sono “Artica”, varato nel 2020, “Siberia” e “Ural” (2022), con due reattori RITM-200, pari a circa 82.000 cavalli. Tali vascelli, del costo di 600 milioni di dollari, possono aprire un canale navigabile di 37 metri attraverso il ghiaccio: una larghezza per la quale era finora necessario utilizzare due rompighiaccio della generazione precedente.

Ancor prima, nell'ottobre 2021, Antun Roša scriveva sulla croata Advance che la rotta marittima settentrionale aperta tutto l'anno (a oggi, se ne pronostica l'avvio per il 2024), può trasformare completamente la logistica mondiale: «sarà difficile sostituire il canale di Suez, ma è possibile dar vita a una solida alternativa, la cui importanza si accrescerà nel tempo». Tale rotta non è che parte di un itinerario più ampio, denominato rotta nordorientale, che collega Europa e Asia, accorciando la distanza tra i due continenti rispetto al percorso tradizionale. Ad esempio, se attraverso il canale di Suez, da cui transitano 17-18.000 navi l'anno, un vascello da carico impiega 48 giorni da Amsterdam a Dalian, lungo la rotta settentrionale il viaggio si accorcerà di 13 giorni.

Allo scopo, osservava Roša, si allestiscono anche speciali navi da carico (realizzate sul modello della classe militare “Ivan Papanin”, con scafo rinforzato e motori elettrici, in grado di superare ghiacci fino a 2 m di spessore), che possono seguire la rotta settentrionale anche senza l'intervento dei rompighiaccio: non per nulla, anche nei mesi del disgelo, il pericolo di formazione improvvisa di ghiacci è sempre in agguato.

Vero è che Roša esponeva considerazioni ecologiste, non esattamente favorevoli all'incremento della navigazione commerciale: si avranno gravi conseguenze negative per un «ecosistema che già soffre in tutto il mondo a causa della logistica attiva. La rotta settentrionale non farà che peggiorare la situazione. Sfortunatamente, il mondo è ancora incentrato solo su domanda e offerta; alcune delle cose più semplici, che potrebbero essere facilmente prodotte molto più vicino ai consumatori, viaggiano per mezzo mondo per raggiungere il mercato. La catastrofe ecologica causata da questo, qualunque cosa si dica, non può essere fermata fino a quando il modello economico non cambierà radicalmente».

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