LA NAZIONALIZZAZIONE DI MPS SEGNA LA CRISI DELL'EPOCA LIBERISTA E L'INIZIO DI UNA NUOVA STORIA


di Giorgio Cremaschi


Il fatto che, senza alcuni scandalo dei benpensanti dell'economia e della politica, sia considerata ed accettata come quasi inevitabile la nazionalizzazione di MPS, la dice lunga sulla crisi delle politiche liberiste dopo dieci anni di crisi generale. Solo fino a poco tempo fa la parola stessa nazionalizzazione era tabù, guai a pronunciarla. Si era tacciati di nostalgia del comunismo o della democrazia cristiana, di apologia della corruzione. Il pubblico era il male, il privato era il bene ci spiegavano tutti i commentatori di palazzo, così vuole l'Europa aggiungevano. Oggi è proprio la Banca Centrale Europea a dire, nei fatti, al governo italiano: basta inseguire il mercato, nazionalizzate la banca.

Certo questa indicazione non nasce da un cambio di rotta politico da parte delle istituzioni europee, ma dalla paura. Tutto il sistema bancario del continente è a rischio, quello della Germania non meno di quello del nostro paese. Dunque se salta una grande banca, il timore dell'effetto domino è fortissimo. E una crisi bancaria che accompagnasse i vari pronunciamenti "populisti" degli elettori sarebbe ingestibile per il potere costituito. Quindi la nazionalizzazione di MPS alla fine è un male minore, e la burocrazia europea è la prima a suggerirla.

Così questo intervento pubblico dovrebbe solo permettere alla finanza internazionale di rifiatare e poi di riprendersi la banca risanata, nella più pura tradizione della socializzazione delle perdite e della privatizzazione dei profitti. Così la Banca Morgan, a cui Renzi dopo quello della Costituzione aveva anche affidato anche il futuro di MPS, deve ritirarsi. Due sconfitte in pochi giorni, una per opera del popolo, l'altra per via dello stesso mercato, che sulla banca senese non vuol mettere soldi.

Ora i cialtroni della globalizzazione cercheranno di ridimensionare il fatto ad una rara eccezione. Ma non ce la faranno. Il pubblico torna in campo semplicemente perché il privato non ce la fa, perché la crisi continua. Se nazionalizzano una banca allora che dire del resto dell'economia? I poteri di sempre non riusciranno a contenere l'utilizzo di questo strumento, l'intervento pubblico, ora che loro per primi lo rimettono in vigore. Non riusciranno a farlo con un popolo che al sessanta per cento ha appena detto che vuole quella Costituzione, che dell'intervento pubblico fa un suo pilastro. E neppure riusciranno, i poteri di sempre, a tenere ancora fuori dai conflitti sociali i vincoli europei. Se la BCE ci fa nazionalizzare una banca, perché dobbiamo ascoltarla ancora quando ci chiede di privatizzare la sanità? E se dobbiamo spendere soldi pubblici per impedire un collasso finanziario, perché non dobbiamo usarli per prevenirne altri? E magari anche per creare lavoro vero e non precario? E se lo stato rientra in campo nella gestione della economia, perché non deve avere tutti gli strumenti per poterlo fare? Cioè avere la piena sovranità sulla moneta, sul bilancio, su tutti gli strumenti della politica economica, cioè avere la piena indipendenza dei vincoli europei.

Non sappiamo se alla fine MPS finirà davvero in mano pubblica, o invece sarà regalato a qualche sceicco, ma il solo fatto che l'ipotesi principale sia la nazionalizzazione ci dice quanta acqua in poco tempo sia passata sotto i nostri ponti. Il voto del referendum ha mostrato come il popolo italiano cominci a non accettare più una condizione sempre più povera ed ingiusta. La crisi MPS a sua volta, mostra come le classi dirigenti non ce la facciano più a dare le risposte che finora hanno sempre dato. L'epoca del liberismo è giunta alla sua crisi, siamo entrati in un'altra storia, una storia che possiamo fare noi.

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