QUANDO UN CORTEO FA BUONA POLITICA


di Nicoletta Dosio e Giorgio Cremaschi


La poderosa manifestazione NOTAV a Torino non solo ha rilanciato la forza e la ragione di un movimento di lotta che dura da quasi trenta anni, ma ha fatto politica nel suo migliore significato.

Innanzitutto la dimensione del corteo ha travolto la precedente manifestazione SI TAV, che aveva visto uniti PD e Lega, Confindustria e CISL e UIL, buona borghesia e fascisti. Costoro non a caso si erano ispirati alla marcia dei quarantamila, cioè alla manifestazione di crumiri organizzata dalla FIAT che nel 1980 pose fine alla lotta operaia dei 35 giorni. Da quella sconfitta dilagò la controffensiva padronale e liberista contro le conquiste del lavoro e lo stato sociale. Il mondo ingiusto e feroce di oggi è anche figlio di quella marcia. Ispirandosi ad essa, i SITAV hanno proclamato tutta la loro identità reazionaria: essi vogliono continuare con il supersfruttamento delle persone come della natura, senza curarsi dei guasti prodotti, giunti oramai alla soglia della irreparabilità. I SI TAV ripropongono un modello predatorio di sviluppo che sta precipitando nel sottosviluppo,

La contesa sul TAV vede sì contrapposti sviluppo e sottosviluppo, ma contrariamente a quanto propagandano i mass media, lo sviluppo é contenuto nella piattaforma e nelle lotte del movimento NoTAV.

Il corteo NOTAV rivendica un altro modello di società e costruisce un altro blocco sociale e politico rispetto a quello dei quarantamila. Il movimento che in Valle Susa da decenni lotta contro il progetto dell’inutile e devastante raddoppio della ferrovia tra Torino e Lione, non è solo un movimento ambientalista. Quella lotta ha elaborato un punto di vista più generale sulla società, ha criticato il modello di sviluppo liberista e le sue Grandi Opere, ha unito la tutela dell’ambiente a quella del lavoro, la difesa dei beni comuni all’eguaglianza sociale. E man mano che elaborava questo punto di vista critico sulla società dominata dal profitto e dal mercato, la lotta della Valle Susa si faceva popolare, conquistava persone ed estendeva cultura. La brutale repressione poliziesca e giudiziaria, l’occupazione militare del territorio, invece che abbattere il movimento, ne hanno rafforzato la resistenza, le convinzioni, il consenso.

Così la manifestazione di Torino ha potuto unire attorno alla lotta della Valle Susa un popolo che vuole cambiare la società e che non ne può più delle ingiustizie e delle devastazioni che il liberismo impone. C’era chi annunciava la fine di questo popolo, frantumato e disperso dalla finta contrapposizione tra chi sta con Salvini e chi con il PD, tra reazionari xenofobi e fanatici liberisti. Ma la piazza dei SITAV ha unito questi due schieramenti, quelli che si dovrebbero contendere l’Europa nel nome di un finto sovranismo contrapposto ad un finto antifascismo. E così il corteo NOTAV ha fatto riemergere un popolo che è alternativo ad entrambi gli schieramenti, un popolo non a caso solidale con i gilet gialli e allo stessi tempo totalmente avverso a Salvini e a ciò che rappresenta.

In questo modo la manifestazione dell’8 dicembre è entrata prepotentemente nella politica ufficiale, mettendo alle strette i suoi equilibri. I primi ad esserne stati colpiti sono i due soci di governo. Dopo il corteo di Torino non sarà più possibile continuare a lungo la politica del rinvio. Salvini, di fronte ad una piazza così forte, non potrà cedere senza perdere la faccia di fronte al mondo imprenditoriale da cui non può prescindere. Non basterebbero le persecuzioni dei migranti e dei poveri a coprire una resa sul TAV del ministro degli interni. Salvini deve ottenere il via libera ai lavori, solo così potrà definitivamente accreditarsi presso la borghesia italiana ed europea, come Orban ed altri suoi alleati. La conversione alla UE che il leader leghista oggi manifesta spudoratamente, non basterà ai padroni del vapore e delle opere se non sarà accompagnata da fatti. E i fatti su cui Salvini può manovrare solo solo due: la revisione della legge di bilancio ed il sì al TAV.

A loro volta Di Maio e i cinquestelle, dopo la manifestazione sono incastrati sul fronte opposto: in Valle Susa e a Torino hanno fatto il pieno dei voti e ora chi li ha votati esige che mantengano gli impegni. Salvini e Di Maio fanno scongiuri per rinviare la decisione sul TAV a dopo le elezioni europee, ma non credo che ciò gli venga permesso. Dovranno decidere in fretta ed alla fine uno dei due perderà, catastroficamente per la propria immagine ed il proprio consenso.

Il corteo di Torino, come tutte le manifestazioni vere di mobilitazione sociale, ha fatto buona politica non solo verso il governo, ma anche verso il disastrato campo della sinistra politica e sindacale. Ha definitivamente chiarito che il PD è un avversario e che occorre costruire un campo politico non disposto a compromessi con quel partito e con il vecchio centrosinistra. Così pure la manifestazione ha posto una discriminante tra le forze sindacali lì presenti, sindacati di base e conflittuali, ed il mondo ufficiale di CGILCISLUIL, schierato invece con il TAV.
Infine quel corteo ha posto alle forze politiche più radicali la questione del cambiamento. Esse non possono continuare a riproporre le solite aggregazioni elettorali di gruppi dirigenti, sperando così di intercettare i bisogni politici di chi scende in piazza. No questa via, già fallita nel passato, non può essere ripercorsa. Se si vuole essere interlocutori di chi ha manifestato a Torino, di chi è sceso in piazza l’8 dicembre dalla Sicilia al Veneto, bisogna guadagnare fiducia e credito con pratiche diverse dal passato. Il primo insegnamento del movimento NOTAV è la priorità ai contenuti e la radicalità nella lotta per sostenerli. È da questi contenuti e da questa radicalità che bisogna partire, è con questa buona politica che bisogna costruire.

Potere al Popolo, presente in tutte le manifestazioni dell’8 dicembre con tutto entusiasmo, é su questo terreno che ha accettato la sfida.

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