L'autonomia differenziata è il jobs act delle regioni e la risposta di De Luca e de Magistris è sbagliata



di Giorgio Cremaschi

Il diritto all’autodeterminazione dei popoli e l’autonomia differenziata che si vuole decidere in Italia non c’entrano nulla l’uno con l’altra. Lo dico subito perché non si possono in alcun modo usare gli argomenti dell’uno o dell’altra per sostenere o attaccare l’uno o l’altra.


Il diritto all’autodeterminazione dei popoli é un sacrosanto principio che rivendica il diritto ad ogni popolo, che sia effettivamente tale per lingua cultura storia, ad avere una propria casa, senza opprimere altri popoli.


Un diritto che riguarda ancora tanti popoli, i palestinesi, i curdi e in Europa tra gli altri gli scozzesi ed i catalani. Diritto all’autodeterminazione non significa automaticamente diritto all’indipendenza, ma diritto a decidere liberamente. Ai palestinesi ed ai curdi questo diritto viene semplicemente negato con la forza delle armi. Gli scozzesi in un referendum hanno rifiutato l’indipendenza e va dato atto a tutta la Gran Bretagna di aver gestito questa difficile scelta in piena democrazia. Non così nella Spagna, dove sono ancora forti le scorie del franchismo e dove i Catalani hanno pagato il loro referendum con decine di prigionieri politici. Prigionieri politici dei quali il governo socialista di Sanchez ha persino rifiutato di discutere, per questo andando alla sua fine.


L’autodeterminazione dei popoli è un principio giusto che può anche portare ad esiti catastrofici, pensiamo alla dissoluzione della Jugoslavia, voluta ed incentivata da Germania, Vaticano e NATO. Tra poco ricorrono venti anni dal bombardamento aereo di Belgrado da parte di aerei anche italiani, infamia perenne del governo D’Alema.


L’autodeterminazione dei popoli è un campo terribile, dove i conti costi benefici, l’aziendalismo territoriale, non contano, anzi al contrario si fa e persino si esalta il conto dei prezzi dolorosi, ma inevitabili, che un popolo deve pagare per autodeterminarsi.


L’autonomia differenziata è l’esatto opposto dei sacrifici di un popolo che vuole riconoscersi come tale, essa esalta la furbizia di chi vuol continuare a far parte dello stesso popolo, ma contribuendo il meno possibile ad esso.


L’autonomia differenziata è prodotto diretto del PD e della Lega, non a caso uniti su di essa come su quasi tutto il resto, in particolare nel Nord del paese.


La Lega, quando si chiamava ancora Lega Nord e Matteo Salvini cantava strofette razziste contro i napoletani, tentò di inventarsi un popolo, il popolo padano, per il quale rivendicare uno stato. Ma il popolo padano non esiste, la Lega stava scomparendo elettoralmente, tranne che nel lombardo veneto, e così Salvini ha trasferito con successo ideologia e programma dai padani agli italiani, che ancora esistono. Ma anche se l’intolleranza e il razzismo dei leghisti ora si trasferiscono dai terroni ai migranti, l’impronta liberista territoriale rimane. Nelle loro regioni di nascita i leghisti ancora pensano ed affermano di non voler più versare al Sud e a Roma ladrona soldi, che nelle loro regioni potrebbero essere spesi molto meglio. La sostanza dell’autonomia differenziata è tutta qui: i soldi nostri a casa nostra; essa si fa per questo è il resto é tutta ipocrisia e burocrazia.


Così Salvini avrebbe qualche difficoltà a reggere la contraddizione tra il suo voler essere leader di un partito reazionario nazionale, e la sua base al nord che non vuol più dare soldi allo stato, ma per ora è il PD che gli toglie le castagne del fuoco.


L’autonomia differenziata è figlia di due disastrose modifiche della Costituzione, per entrambi le quali sono stati determinanti il PD ed il centrosinistra.


La più recente di queste controriforme è la modifica di alcuni articoli ed in particolare dell’81, modifica con la quale si è introdotto nella Carta l’obbligo del pareggio di bilancio e di rispetto dei vincoli europei, anche nelle regioni e nei comuni. In questo modo il fiscal compact e l’austerità liberista sono stati costituzionalizzati, quindi ogni governo che volesse combatterli davvero, ma finora non è mai successo, dovrebbe scontrarsi con i vincoli costituzionali, come periodicamente ricorda Mattarella.


Dentro la gabbia liberista del nuovo articolo 81 si colloca anche l’autonomia differenziata, che dunque non diventa il modo per distribuire diversamente tra regioni la crescita comune, ma quello per scaricarsi l’un l’altra i tagli e i massacri sociali delle politiche di austerità.


L’autonomia differenziata è a sua volta figlia di un’altra controriforma liberista della Costituzione, quella del Titolo Quinto, cioè di tutta la parte della Carta sulle autonomie locali, realizzata nel 2001 dal centro sinistra.


Questa controriforma stabilì il principio della legislazione “concorrente”tra stato e regioni, cioè su tutte le materie sociali, ambientali, di lavoro e di formazione.


Così il centrosinistra di allora pensava di sconfiggere la Lega Nord di allora: combattere il suo indipendentismo con un autonomismo regionale spinto. E già allora emergeva la totale assunzione dell’ideologia liberista.


Nel 1999 il governo di centrosinistra, gli enti locali, CGILCISLUIL e le associazioni padronali avevano sottoscritto il primo “Contratto d’ Area” per Manfredonia, provincia di Foggia. Quei contratti prevedevano tagli alle paghe e ai diritti dei lavoratori, incentivi fiscali e tolleranza ambientale per le imprese che avessero investito nell’area da essi definita. Era l’idea che lo sviluppo del Mezzogiorno sarebbe dovuto avvenire con le sue forze, senza intervento pubblico diretto, ma facendo concorrenza al ribasso sui contratti e sui diritti rispetto al Nord. Si affermava che bisognava portare il modello imprenditoriale veneto nel Mezzogiorno ed erano il centrosinistra e la CGIL a proporlo.


Dilagarono così i contratti d’area, che però finirono tutti in un nulla, tra truffe e desertificazione industriale. La tesi liberista secondo la quale il Sud non cresceva perché ingabbiato negli stessi diritti e contratti del Nord, tesi ancora ripresa dalla famigerata lettera di Draghi e Trichet dell’agosto2011, questa tesi venne smentita dal colossale fallimento della sua concreta applicazione.


Non c’è stato lo sviluppo del Sud come sede di raccolta delle delocalizzazioni, ma intanto il disastro costituzionale era fatto e restava lì a far danni, che oggi si moltiplicano.


L’autonomia differenziata fa a livello sociale ciò che il Jobsact ha fatto nel lavoro. Mette ogni territorio in competizione con l’altro sul piano del ribasso dei diritti, dei tagli alla spesa pubblica e delle privatizzazioni, dell’appropriazione dei fondi pubblici. Persino l’istruzione pubblica viene regionalizzata.


Questa autonomia fondata sull’austerità è esattamente ciò che teorizzava il nume dell’ordoliberismo Von Hajek, il quale auspicava un federalismo di regioni in competizioni tra loro, per smantellare lo stato sociale, i contratti ed i diritti del lavoro e per far trionfar ovunque il mercato. Lombardia Veneto ed Emilia Romagna rivendicano persino una propria politica estera verso la UE. Che se oggi riesce a imporre ad un stato intero i suoi vincoli di bilancio, immaginiamo cosa potrà fare quando avrà di fronte piccole regioni in competizione tra loro.


È chiaro che il primo colpito dall’autonomia differenziata è il nostro Mezzogiorno, cui rapidamente mancheranno soldi per servizi essenziali. Ma sarebbe un grave errore affrontare questo disastro come se fosse una solo una lotta del Sud contro il Nord. Perché con questa autonomia anche le regioni più ricche, nel tempo, pagheranno prezzi sociali altissimi, costrette anch’esse nella gabbia del liberismo. E accentueranno il loro ruolo di regioni di subfornitura industriale per le aree ancora più ricche del Nord Europa. Il Mezzogiorno piangerà, ma la Padania non riderà.


Per questo è profondamente sbagliata la risposta data da De Luca e De Magistris, che seppure con accenti diversi, hanno rivendicato una loro autonomia differenziata per la Campania, per Napoli, per tutto il Mezzogiorno.


È giusto reagire al razzismo economico antimeridionale che accompagna le rivendicazioni delle regioni più ricche. Non bisogna però ridurre il tutto ad uno scontro con la Lega perché non è questa la realtà. Sull’autonomia il PD del Nord sta con Salvini ed entrambi hanno convenuto il percorso con Gentiloni. E poi se anche fosse tutto in mano alla Lega, non si risponde al leghismo settentrionale con quello meridionale, alla secessione dei ricchi con quella dei poveri.


La lotta all’autonomia differenziata deve essere una grande lotta di tutto il paese, per ricostruire lo stato sociale e l’intervento pubblico nell’economia, per salvare i contratti nazionali e far crescere salari e diritti del lavoro in tutta l’Italia. E ci vuole la rottura con le politiche e dei trattati che impongono l’austerità, in Italia ed in Europa, e non adattarsi ad essi regione per regione.


L’autonomia differenziata è una altro attacco liberista all’eguaglianza e ai diritti sociali, non la si combatte dicendo: la vogliamo tutti, ma facendo capire che fa male a tutti, o almeno alla grande maggioranza di popolo impoverito e sfruttato, al Sud come al Nord.

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