Bonometti, il nostalgico del duce che vuole tornare al fascismo nelle fabbriche


di Giorgio Cremaschi


Se si percorre l’account Facebook di Marco Bonometti, presidente di Confindustria Lombardia, non si trova solo le pubblicità delle sue case di cura e della sua azienda metalmeccanica, inframmezzate ad eventi sportivi. Non si incontrano solo le condivisioni dei post di Lara Comi, la parlamentare di Forza Italia, per la quale Bonometti è indagato dalla magistratura per finanziamento illecito.

Se si arriva al 26 aprile 2019 si vede come l’industriale bresciano abbia celebrato la Liberazione: ricordando “ le vittime dei partigiani rossi”. Perché Marco Bonometti a Brescia era notoriamente conosciuto come fascista, con i busti di Mussolini negli uffici e con le messe del 28 aprile in suffragio del dittatore, alle quali gli organizzatori accreditavano la presenza assidua di “importanti imprenditori”.

Del resto a Brescia c’è stato un bel gruppo di padroni fascisti, che avevano le loro radici negli affari imprenditoriali con i nazisti e la repubblica di Salò e che negli anni settanta furono finanziatori e sostenitori di organizzazioni neofasciste, anche inplicate nella strage di piazza Loggia.

Successivamente le cose sono in parte cambiate, ma evidentemente qualcosa è rimasto. D’altra parte l’AIB, l’associazione degli industriali bresciani, non ha mai espresso pregiudiziali antifasciste, solo lo Statuto dei diritti dei lavoratori le ha sempre fatto orrore. Così non c’è da stupirsi se Marco Bonometti sia diventato presidente di quell’associazione e poi da lì sia salito al vertice della Confindustria Lombardia. Da quella posizione è poi divenuto grande elettore di Bonomi, che per altro non ha certo sentito problemi politici nel sostegno di Bonometti. Il quale però, o per consigli o per propria scelta, ora pare si proclami renziano, evidente considerando questa la collocazione meno faticosa per un padrone fascista.

Il presidente di Confindustria Lombardia ha dato prova di sé quando, durante il dilagare della pandemia, si è vantato di aver impedito le zone rosse a Bergamo e a Brescia e ha definito come irresponsabili gli scioperi dei lavoratori per la salute e la vita propria e delle proprie famiglie. Oggi egli esprime quella energia creativa degli imprenditori, che secondo Bonomi dovrebbe ricevere dal governo tutti i soldi pubblici. Quegli imprenditori che più sono barbari, più sono esaltati da Salvini e che secondo il piddino Del Rio sarebbero i veri eroi della ripresa, altro che medici ed infermieri.

Ora questo eroe creativo ha chiesto di abolire i contratti nazionali e il decreto dignità e poi vorrebbe un’altra valanga di flessibilità, fermandosi, per ora, solo sulla soglia del ritorno ufficiale alla schiavitù; ma nessun commentatore ufficiale ha ricordato le sue simpatie fasciste. Del resto il bocconiano Bonomi, manager colto e senza fabbrica, aveva già proclamato le stesse rivendicazioni, ricevendo gli elogi bipartizan del palazzo e della grande stampa.

Come si sa, da più di trent’anni ogni distruzione di diritti dei lavoratori viene concordemente presentata come modernità e progresso. E guai a criticare quei padroni e quelle leggi che hanno trasformato il rapporto di lavoro in un sistema oppressivo, lesivo della libertà e della dignità. Chi oggi osi esprimere questi giudizi, viene subito tacciato di propagandare vecchie ideologie superate.

E invece è proprio il nostalgico Bonometti che propone di tornare al 1925, quando il suo idolo Mussolini sciolse i sindacati e le commissioni interne, vietò la libera contrattazione sindacale, impose ai lavoratori l’obbligo di iscriversi ai sindacati fascisti, dei quali facevano parte anche i padroni. E infatti il padrone bresciano chiede al governo di intervenire contro i contratti, esattamente come fece il duce.

Altro che uscire migliori dal Covid, Bonometti è un fascista che fa il padrone e oggi interpreta perfettamente una padronato fallimentare, che si prepara ai licenziamenti di massa e spera di recuperare affari e profitti facendo tornare il fascismo nelle fabbriche.

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