LA CINA RUBA TECNOLOGIA? SI', COME FECERO GLI USA



In questi giorni l'amministrazione Trump ha approvato un memorandum che autorizza un'inchiesta sul furto e il trasferimento forzato della tecnologia statunitense da parte della Cina (e non solo). Insomma si prosegue nella guerra "ideologica" che vede in Pechino il consueto giocatore scorretto e nemico della proprietà. Un infido giallo insomma che aspira all'egemonia attraverso il furto e illegalmente.

Ma siamo sicuri che un simile comportamento sia solo recente patrimonio della Cina socialista? Pare proprio di no! Lo racconta su "Foreign Policy" lo storico statunitense Charles R. Morris nell'articolo "Noi eravamo i pirati": nel 19° secolo a rubare tecnologia alla più avanzata Gran Bretagna, soprattutto nell'industria tessile, - utilizzando spie e attirando lavoratori - erano proprio gli emergenti Stati Uniti d'America. Allora le protezioni britanniche sulle proprie innovazioni erano viste dagli Usa come un impedimento neocoloniale al loro diritto allo sviluppo: "Ma gli americani non avevano rispetto per le protezioni delle proprietà intellettuali britanniche. Avevano combattuto per l'indipendenza per sfuggire alle restrizioni economiche soffocanti della Madrepatria. Ai loro occhi, le barriere tecnologiche britanniche erano una misura pseudo-coloniale per costringere gli Stati Uniti a servire come fonte di materie prime e come mercato per i produttori di fascia bassa":

Insomma, oggi con le accuse rivolte a Pechino - che ricorre più alle joint-ventures e alla forza attrattiva del proprio mercato interno - si pretende di mantenere vivo un rapporto di potere "neocoloniale", relegando (con insuccesso ormai) la potenza emergente asiatica a mercato secondario e ad un basso livello nella produzione di valore globale.

Diego Bertozzi

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