Paniccia: cambiare strategia o la Libia sarà la seconda roccaforte dell’Isis dopo la Siria


“Non si può più perdere tempo in Libia, il rischio è che diventi la seconda roccaforte dello Stato islamico dopo la Siria”. Lo afferma Arduino Paniccia, direttore della Scuola di Competizione Economica Internazionale di Venezia (ASCE) e docente di Studi Strategici presso l’Università di Trieste, secondo il quale l’Onu ha sbagliato strategia diplomatica e l’Europa continua a non dare risposte adeguate. Dopo l’ennesimo naufragio davanti alle coste della Libia, fulcro dei traffici dei migranti verso l’UE, e lo stallo nelle trattative diplomatiche delle Nazioni Unite per raggiungere un governo di unità nazionale libico, il Paese nordafricano resta un rebus.

“La popolazione libica non sta con il Califfato, conosco i libici, non sono quei delinquenti delle bande armate, trafficanti di esseri umani e terroristi che vogliono impadronirsi del Paese – osserva Paniccia, esperto di strategia militare e geopolitica, con alle spalle missioni internazionali in aree di conflitto, dai Balcani all’Afghanistan al Golfo Persico -. La maggior parte di loro ha cercato di sostenere un governo non islamista, ma non sono stati supportati. I libici avrebbero voluto costruire un’economia non soltanto basata sul petrolio, con un rinnovato ruolo della piccola media e industria, che avrebbe potuto essere promossa dalla cooperazione internazionale”.

Giudicando errata la strategia diplomatica messa in atto dall’inviato delle Nazioni Unite in Libia, Bernardino Leon, Paniccia spiega che “Leon ha proposto un esecutivo a maggioranza islamica con il governo di Tobruk (l’unico riconosciuto dalla comunità internazionale, ndr) lasciato in minoranza”. Pur comprendendo la necessità di far dialogare il governo islamista di Tripoli (non riconosciuto), continua il professore, “le negoziazioni dell’Onu non hanno tenuto in sufficiente considerazione la posizione del generale libico Khalifa Haftar, ritenuto troppo vicino al presidente egiziano Al Sisi, e dunque sono prevalsi i timori che in Libia si potesse instaurare una dittatura militare”.

Si è tuttavia trattato di un errore, così come è stato sbagliato tenere l’Egitto come residuale negoziatore al tavolo libico, per timori e strategie regionali di altri Paesi del mondo islamico - sottolinea ancora il direttore dell’ASCE -. Ora la diplomazia dovrebbe ricominciare tutto daccapo, a mio avviso, facendo una scelta di campo e non puntare sulla parità tra i due governi libici. Non sarà certo il governo islamista di Tripoli a pacificare la Libia, che per l’Italia è la porta di accesso verso l’Africa subshariana, dalla quale provengono molti dei migranti che raggiungono le nostre coste. Per sostenere con la cooperazione quegli Stati, segnati da povertà e tensioni politiche, stabilizzare la Libia è il primo passo”. “Guardando al problema della Libia, dove è presente l’Isis, bisogna inoltre tenere bene a mente che il nuovo terrorismo dello Stato islamico non mira a sfasciare gli Stati come voleva fare Al Qaeda, ma a costruirli”, evidenzia Paniccia, secondo il quale “l’intervento militare della Russia in Siria è stato il primo ‘muro’ che ha frenato l’avanzata dei terroristi dell’Isis, ambiguamente sostenuti da alcuni Stati della coalizione internazionale a guida americana”.
Non dimentichiamoci – continua l’esperto – che uno Stato islamico come vuole Isis anche in Libia, è già stato costruito all’inizio del 2000 dai talebani in Afghanistan, ai quali l’Isis si ispira, seppur con una strategia diversa. Il Califfato guarda anche a l’eredità storica dell’impero ottomano, scomparso solo dopo l’ascesa di Kemal Atatürk, padre della Turchia laica e moderna. Quella Turchia che oggi è guidata dall’islamista Ergodan, il cui governo tacitamente ha sostenuto l’Isis come l’altro grande stato islamico sunnita che punta alla leadership nel mondo musulmano: l’Arabia saudita. Quello che sta accadendo oggi all’interno del mondo islamico è molto preoccupante, perché non si tratta solo di una guerra civile tra Stati sunniti e sciiti, come l’Iran. Lo scontro contrappone anche filo-occidentali e filo-orientali, creando un’enorme faglia che si interpone tra l’Occidente e l’Asia”.

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