E se Ginevra non bastasse

di Giovanni Asmundo

Alla luce dei recenti sviluppi diplomatici sulla crisi siriana come giudicare i lavori a Ginevra tra il Segretario di Stato americano e il Ministro degli Affari Esteri russo? E’ corretto parlare di “buon compromesso”, o forse risulta più appropriata la definizione di “soluzione a ribasso”? Rebus sic stantibus, una cosa è chiara. Si tratta di una soluzione che fa felici tutti: Obama evita con abile mossa un probabilssimo voto negativo al Congresso, più volte rinviato, ed inoltre, riesce a dimostrare che le minacce degli USA sono ancora efficaci e fanno realmente paura. Sull’altro versante dello scacchiere, i siriani evitano di subire un attacco la cui minaccia era diventata opprimente e devastante, mentre la Russia si aggiudica il ruolo di garante della legalità e della diplomazia di fronte alla comunità internazionale.
Tuttavia, occorre essere accorti. Anzi freddi, quando si parla della soluzione che sembra essere stata trovata alla crisi siriano-internazionale. E per tre motivi principali.
Quello raggiunto a Ginevra nei giorni scorsi è un accordo molto ambizioso sia per il programma di azioni che esso dispone per ciascuno dei contraenti, sia per i tempi veramente stretti, quasi insufficienti, che sono stati imposti alla Siria. Il governo di Assad ha avuto una settimana per presentare una lista completa delle armi chimiche in suo possesso, primo passo nell’ applicazione dell’accordo russo-americano sul disarmo chimico della Siria che dovrebbe essere portato a termine entro la prima metà del 2014.
Un altro motivo per cui trattenere gli entusiasmi è il discusso ricorso al Capitolo VII della Carta ONU relativa all’uso della forza, le cui modalità non sono state delineate dalle clausole dell’accordo qualora la Siria defezioni. Una discussione che non definisca questi aspetti in maniera precisa si espone eccessivamente ad errori di interpretazione sia da Washington che da Mosca, dipendentemente, anche, dalla condotta che la Siria deciderà di assumere all’interno di questo gioco delle parti. L’ipotesi nemmeno troppo remota che la Siria si ritiri dagli accordi stretti con la Russia diventa sempre più probabile se ricordiamo che la guerra civile in corso sul territorio siriano da oltre due anni e mezzo rende piu problematica qualsiasi realizzazione, implementazione e operativizzazione delle direttive decise a Ginevra tra le due grandi potenze le cui discussioni sull’ uso della forza sono state paralizzate all’interno del Consiglio di Sicurezza negli ultimi due anni e mezzo.
Infine, Husayn Harmush, il leader dell’Esercito Libero Siriano (ESL), che rappresenta la frangia piu moderata dell’opposizione al regime di Assad, pone davanti all’opinione pubblica un’importantissima questione. L’ accordo raggiunto nei giorni scorsi non riguarda per nulla il popolo siriano. Le annose motivazioni delle ripetute rivolte e sollevazioni del popolo siriano sono molto precedenti e molto più profonde del semplice riferimento all’utilizzo o meno delle armi chimiche. Quella degli attacchi chimici sulla popolazione civile, è una novità che ha assunto importanza a partire dai discorsi del presidente Obama che menzionava l’utilizzo di tali armi e la cosidetta “Linea Rossa”. In poche parole, celebriamo un accordo che non tocca minimamente l’ elemento centrale della "questione siriana".
Per riassumere, l’accordo siglato dai due grandi diplomatici non risolve la conflittualità e i molpteplici attriti attivi su diversi scenari. Abbiamo ad esempio già detto che la questione delle armi chimiche, qualora venisse confermato il loro utilizzo da parte dell’esercito governativo, non tocca la questione della guerra civile. Nel corso di quasi 3 anni, se prima la lotta ad Assad si muoveva sulla richiesta da parte del popolo di una maggiore promozione e tutela dei diritti civili, adesso l’opposizione ad Assad e agli Alhawiti è diventata un crogiuolo di istanze diverse, oggetto di numerose infiltrazioni da parte di gruppi jihadisti contrari al regime.
In un’ottica ancora più generale, in Siria è in atto un conflitto culturale profondissimo che segna la regione medio orientale nella sua totalità: lo scontro tra Sunniti e Sciiti. Attorno alla Siria, pertanto, giocano una molteplicità di attori ciascuno con i propri interessi di egemonia sulla regione sia a livello politico che culturale. Sul territorio siriano è stata aperta in questi 3 anni di guerra civile, un’ampia competizione tra i principali paesi dell’area (Iran, Arabia Saudita e Qatar) che si contendono l’egemonia politica ed economica sull’intera regione, all’interno della quale rimangono fortemente attive organizzazioni e gruppi legati a doppio filo con Al-Qaeda.
I politologi di tutto il mondo sono ancora molto scettici sulle ipotesi di intervento degli Stati Uniti. L’idea più diffusa è che l’intervento USA sarebbe dovuto avvenire due anni fa, ovvero quando il fronte non aveva raggiunto una dimensione cosi composita ed eterogenea, dove la richiesta di diritti civili e tutele, che costituiva il motore trainante delle proteste, adesso è passato in secondo piano cedendo alle volontà particolari dei diversi gruppi di pressione interessati all’opposizione al regime. Tuttavia, per giustificare l’inattività statunitense, un intervento di qualsiasi tipo, all’epoca, sarebbe stato una mossa sconveniente per il presidente Obama, recente premio Nobel, che si era posto come cesura al periodo di guerre di Bush, ed impegnarsi in un altro conflitto sarebbe stata una scelta deprecabile.

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