Russia e Cina hanno firmato il "Santo Graal energetico"

Lentamente - ma inesorabilmente - l'egemonia del dollaro si sta incrinando, sia per le gaffe in politica estera di Washington, che per le troppe linee-rosse oltrepassate, sia per la fragilità economica, scrive il blog ZeroHedge.
Se nel primo giorno della visita di Vladimir Putin in Cina era apparso chiaramente quanto le due nazioni fossero vicine - la VTB, una delle più grandi Banche russe, ha infatti firmato un accordo con la Bank of China per regolare i pagamenti tra i due paesi nelle rispettive valute nazionali, senza dover più ricorrere ai Dollari USA – oggi è arrivata la firma del tanto atteso “Santo Graal energetico”, Un contratto trentennale per la fornitura di 38 miliardi di metri cubi all’anno.
L'agenzia di stampa ufficiale cinese Xinhua ha infatti confermato l’avvenuta firma tra la compagnia energetica russa Gazprom e la compagnia petrolifera pubblica National Petroleum Corporation (CNPC) che darà il via alle forniture di gas alla Cina attraverso un nuovo gasdotto, “Power of Siberia”.
Con l'occidente che sta facendo tutto il possibile per alienare la Russia e spingerla nell'abbraccio della Cina, questo potrebbe essere solo l'inizio di un rapporto commerciale e politico sempre più stretto tra Mosca e Pechino, commenta ancora il blog americano.
Alexei Miller, presidente del consiglio di amministrazione di Gazprom ha rifiutato di dare informazioni sul prezzo concordato per il gas, definendolo un segreto commerciale. Indipendentemente dal prezzo finale, e a prescindere dal se la Cina abbia preso o meno il sopravvento nei negoziati, il risultato finale è lì ed è reale: a causa della sua politica estera disastrosa negli ultimi due mesi, Barack Obama ha spinto la Russia nelle mani della Cina, facendo sì che i due paesi concludessero un accordo che, dopo dieci anni di lavoro non era mai stato certo, fino alla crisi Ucraina.
Come commentava Pepe Escobar su 'AsiaTimes' alla vigilia della visita di Putin a Shangai, parlando della possibile consacrazione di un nuovo Secolo Eurasiatico, “l’insopportabile miraggio di un’alleanza russo-cinese combinata ad un’ampia simbiosi di scambi e commerci per tutta la regione eurasiatica – a spese degli Stati Uniti – è uno spettro sta perseguitando Washington. Non c’è da stupirsi che l’ansia stia montando. L’alleanza è già un dato di fatto: attraverso la crescita del gruppo dei BRICS (Brasile, Russia, India, Cina, Sud Africa), presso l’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai, il contrappeso asiatico alla NATO, all’interno del G20 e delle 120 nazioni del Movimento Non-Allineato. Gli scambi commerciali sono solo una parte dell’affare futuro. Sinergie nello sviluppo di nuove tecnologie militari si profilano all’orizzonte.
Escobar, sempre dalle colonne di Asia Times, invitava a tenere a mente il Pipelinestan, "tutti quegli oleodotti e gasdotti fondamentali che zigzagano per l’Eurasia e creano la vera spina dorsale per la vita della regione e definiva l’accordo Cina-Russia appena concluso “l’accordo definitivo del Pipelinestan. Un accordo del valore di un trilione e in via di definizione da una decina d’anni, che prevederà che la Gazprom, gigante russo dell’energia, fornirà a China National Petroleum Corporation 3,75 miliardi di piedi cubi di gas naturale al giorno per non meno di 30 anni, a cominciare dal 2018: l’equivalente di un quarto delle esportazioni russe di gas naturale verso l’Europa. La richiesta di gas naturale della Cina attualmente è di circa 16 miliardi di piedi cubi al giorno, il 31,6% dei quali viene importato".
"La Gazprom, prosegue Escobar, "continuerebbe ad ottenere la maggior parte dei suoi profitti dall’Europa, ma l’Asia potrebbe diventare il suo Everest. L’azienda sfrutterebbe questo mega-accordo per spingere gli investimenti nella Siberia dell’Est e tutta la regione verrebbe strutturata come un distributore di gas privilegiato anche per Korea del Sud e Giappone. Se vi chiedete il perché nessuna nazione in Asia abbia dimostrato interesse nell’”isolare” la Russia nel mezzo della crisi Ucraina – a sprezzo dell’amministrazione Obama – guardate non oltre il Pipelinestan.” “Parlando di preoccupazione a Washington”, prosegue Escobar, “c’è poi da considerare il destino del petroldollaro, ovvero la possibilità “termonucleare” che Mosca e Pechino decidano che il pagamento dell’accordo Gazprom-CNPC avvenga in Yuan e non in petroldollari. È difficile immaginare una più forte scossa di terremoto, con il Pipelinestan che si interseca con una crescente partnership energetica russo-cinese; di pari passo con essa c’è la possibilità futura di una spinta, sempre per mano di Russia e Cina, verso una nuova valuta di riserva internazionale – attualmente un paniere di valute – che spodesti il dollaro (almeno nei sogni ottimistici dei BRICS).”
“Nessun “pivoting” dell’amministrazione Obama verso l’Asia per contenere la Cina (e minacciarla con il controllo della marina statunitense alle vie marittime su cui si trasporta energia ) la farà desistere dalla sua strategia ispirata a Deng Xiaoping, autodefinita “sviluppo pacifico”, verso l’essere una centrale globale di commercio. Neppure l’avanzamento delle truppe statunitensi e della NATO nell’Europa dell’Est o altre dimostrazioni di guerra fredda distoglieranno Mosca dal cercare equilibrio: assicurarsi che la propria sfera di influenza in Ucraina si mantenga forte senza compromettere i legami commerciali e politici con l’UE – soprattutto con un partner strategico come la Germania. Questo è il santo graal della Russia: una zona commerciale franca da Lisbona a Vladivostock, che (non a caso) è lo specchio del sogno cinese di una nuova via della seta verso la Germania.”


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