I primi cento giorni di un governo SYRIZA. L'AntiDiplomatico intervista Yanis Varoufakis, uno dei principali consiglieri economici di Tsipras



di Alessandro Bianchi

Yanis Varoufakis. Professore di Teoria economica all'Università di Atene. Autore di The Global Minotaur: America, Europe and the Future of the Global Economy e di "Modest Proposal", un programma in sei punti per uscire dalla crisi dell'euro-zona. Uno dei principali consiglieri economici di Tsipras e, secondo alcuni, potenziale ministro dell'economia di un eventuale governo SYRIZA.

- Nei media europei si parla spesso della cosiddetta “ripresa greca” e della crescita della competitività del paese per provare a convincere l'opinione pubblica della bontà degli anni di austerità e di riforme strutturali imposte dalla Troika. Considerando i dati macroeconomici greci, tuttavia, si riscontra una disoccupazione giovanile superiore al 50%, un tasso di inflazione negativo e una spirale debito-deflazione ormai fuori controllo. Si può parlare di “ripresa” quando, dopo anni di commissariamento della Troika, tre cittadini su cinque hanno superato o stanno per superare la soglia di povertà?
Negli ultimi due anni, niente è stato più organizzato della macchina della propaganda europea, la quale, approssimativamente 18 mesi fa, ha aumentato la sua spinta propulsiva per consolidare il governo di Samaras, terrorizzata come era dalla prospettiva concreta che un nuovo governo ad Atene avrebbe potuto portare la verità al potere. Avete notato come la narrativa della “storia del successo della Grecia” sia scomparsa una volta che le elezioni sono diventate un'opzione inevitabile? Che tipo di ripresa era se si è polverizzata in fumo nel momento in cui è apparsa all'orizzonte la possibilità di un'elezione?
La risposta è semplice: una ripresa che è esistita solo nel reame della propaganda. Una “ripresa” che è stata ingegnata attraverso i mezzi di due nuove bolle - una nei mercati nei bond e l'altra nel mercato delle azioni bancarie greche – che sono esplose nel momento in cui il popolo greco ha avuto la possibilità di esprimere ciò che sentiva su questa 'ripresa' nei seggi elettorali. Una “ripresa” evidenziata in un quarto positivo del Pil (equivalente ad un + 0,7%), dopo sette anni di continui declini e dovuto al triste fatto che il Pil nominale è continuato a scendere, ma per la prima volta l'ha fatto meno della media dei prezzi.
E quindi siamo franchi: non ci sarà nessuna ripresa. Quello che abbiamo di fronte è un diniego mostruoso della realtà, funzionale alla storia che Angela Merkel ha voluto vendere ai cittadini europei: se l'austerità ha funzionato perfino in Grecia, deve essere la cura giusta per tutto il regno europeo e deve essere così accettato senza esitazione da ogni europeo – specialmente.... dagli italiani.

- In Grecia si voterà il 25 gennaio 2015 e, secondo gli ultimi sondaggi, Syriza, principale partito dell'opposizione critica dell'austerity imposta dalla Troika, è in testa. La vittoria alle urne potrebbe essere preclusa per l'attacco speculativo dei mercati e dello spread, volto a creare un clima di terrorismo nell'opinione pubblica. Cosa resta della democrazia in questo regime oligarchico dell'Unione Europea? Potrebbe ripetersi lo stesso scenario anche negli altri paesi con quei partiti critici dell'attuale architettura istituzionale europea?
La minaccia alla possibilità di un governo SYRIZA non proviene dai mercati. Bisogna ricordare che la Grecia è in una situazione di bancarotta e non sta prendendo a prestito dagli investitori privati. Quando non prendi in prestito, non ti devi preoccupare del tasso d'interesse! No, la minaccia diretta alla formazione di un governo SYRIZA proviene dalla Bce, dall'Unione Europea e da Berlino. Subito dopo l'elezione, molto probabilmente, i nostri alleati funzionari europei, in violazione di tutti i principi democratici – e della logica – minacceranno il nuovo governo di Atene con un ultimatum al sistema bancario greco, a meno che, chiaramente, il nuovo governo non si piegherà al volere della Troika. Questo è moralmente ancora più riprovevole che essere terrorizzati dai mercati. Gli investitori hanno ogni diritto di richiedere tassi d'interesse più alti per prestare il loro denaro. Governi democratici alleati e banchieri centrali non eletti, al contrario, non hanno nessun diritto di minacciare un governo democratico appena eletto, scatenando un Armageddon se quest'ultimo osa chiedere una rinegoziazione di un accordo di prestiti con l'Ue, Bce e Fmi – la Troika – non sostenibile.

- Nel suo programma, Syriza prevede la cancellazione del Memorandum, la ristrutturazione completa del debito pubblico greco, il rifiuto di pagare gli interessi su quest'ultimo, fino a quando non avverrà una ripresa reale economica, e il fatto che la Bce diventi prestatore di ultima istanza in modo tale da garantire una parte del suddetto debito. Considerati gli atteggiamenti ostili di Berlino, Bruxelles e Francoforte, come reagirebbe il partito greco di fronte ad un diniego assoluto europeo rispetto alle sue richieste? Andrebbe comunque fino in fondo fino alle estreme conseguenze, vale a dire l'uscita unilaterale dalla zona euro?
L'uscita dall'euro non è un'opzione che un governo SYRIZA concepirà o utilizzerà mai come strategia di negoziazione. Mentre è chiaro e palese a tutti che la Grecia non avrebbe mai dovuto accettare di entrare nella zona euro - e che la zona euro non doveva essere concepita così come è – uscire oggi infliggerebbe grandi danni a tutti.
Allo stesso modo, la “logica” dell'attuale Memorandum sta lavorando proprio per comportare uno smantellamento dell'area valutaria: l'economia sociale dell'Italia, ad esempio, non è sostenibile attraverso le politiche che sono state imposte alla Grecia dal 2010. Per salvare la zona euro, e quindi salvare l'integrità e l'anima dell'Europa, abbiamo bisogno di un New Deal europeo. SYRIZA è determinata a dettare l'agenda per l'inizio di una conversazione su quello che questo New Deal dovrebbe essere.
Naturalmente, l'esito di questo dibattito sarà un compromesso. Alexis Tsipras, il leader di SYRIZA, lo sa: quando stai per entrare in una negoziazione, devi essere pronto al compromesso con le parti con cui siedi al tavolo. Per arrivare ad un accordo, devi portare avanti la tua posizione iniziale – che è la piattaforma governativa del partito – e porre delle linee rosse che, se vengono oltrepassate, determinano la tua uscita dalla trattativa. Una di queste linee, per il caso della Grecia, deve essere la richiesta, che Atene prenda in prestito, tra gli altri, direttamente dalla BCE e questa rimborsi con le obbligazioni che ha acquistato nel 2010/1. Se Berlino continuerà ad insistere su questa negoziazione illogica, un governo SYRIZA deve semplicemente dire “No” e rifiutarsi di proseguire. Qualunque sia la minaccia.

- In questi tre anni e mezzo di regime della Troika, la Grecia ha dismesso importanti parti del demanio pubblico e settori di interesse strategici nazionali in un programma di privatizzazioni selvagge. Syriza pensa ad un nuovo intervento statale per nazionalizzare almeno quei servizi pubblici essenziali da erogare ai cittadini?

Il programma di privatizzazioni imposto ha fallito in modo drammatico. Ci sono, ad esempio, alcuni asset che sono stati consegnati a loschi corsari (come ad esempio la lotteria nazionale e il sito di Hellenikon) che un nuovo governo deve assolutamente riappropriarsi – al meno nei termini di legalità dato che una piena ri-nazionalizzazione sarebbe al momento impossibile data l'illiquidità statale. Detto questo, la maggiore privatizzazione ha avuto luogo non durante il periodo 2010-14 ma durante la fase 2000-2009 e ha riguardato banche, le telecomunicazioni una volta monopolio di stato etc... Per quel che riguarda i servizi pubblici, il problema non è tanto che sono stati privatizzati, il problema è che sono stati smantellati o strangolati dall'austerità e dai folli tagli.
- La risposta delle autorità europee alla crisi continua ad essere chiara e sintetizzabile nella riduzione della spesa pubblica, un aumento dell'imposizione fiscale e le cosiddette riforme strutturali per abbattere il costo del lavoro, unico modo per compensare i gap di competitività tra i vari paesi. A questo, Syriza contrappone proposte molto interessanti, ma già respinte in passato da Bruxelles perché contrarie alle norme dei Trattati vigenti, come gli eurobond e il controllo politico degli stati europei sulla Banca centrale europea. Non crede che sia giunto il momento di superare Maastricht e inaugurare una nuova fase costituente europea in grado di soddisfare le esigenze dei singoli stati con modelli economici interventisti e non più neoliberisti, in grado di garantire la piena occupazione e il benessere sociale, mettendo da parte la dottrina dell'indipendenza della Banca centrale?
Le nostre proposte sono state calibrate in modo tale da non violare nessuno dei Trattati. La nostra idea di una conversione in bond europei mediati dalla Bce dei debiti statali eccedenti il 60%, senza la monetizzazione dell'istituto di Draghi ma con la garanzia del debito da parte dei paesi in surplus; oppure, per fare un altro esempio, la proposta di un Quantitative Easing sui generis, dove la Bce acquista ampie quantità di bond dell'European Investment Bank con l'obiettivo di attuare un programma di investimenti europei finalizzato alla ripresa (“European invstement-led Recovery Program”) sono progetti che si possono realizzare senza violare i Trattati. Sono alcune idee che possono essere attuate domani mattina, se solo i politici lo permettessero. Una volta stabilizzata la situazione economica attraverso i mezzi di queste nuove politiche, potremmo poi parlare a nuove forme di integrazione e futuri Trattati su basi diverse. Ma ogni tentativo di mettere mano ai Trattati oggi, con la crisi ancora in pieno svolgimento, sarebbe solo controproducente.

- Nel caso in cui, come già ampiamente ribadito in passato del resto, i paesi del Nord si dovessero opporre a questi scenari di cambiamento necessari per uscire dalla crisi, i paesi del Sud, in particolare i partiti critici dell'attuale architettura istituzionale, non dovrebbero iniziare a pensare ad una nuova forma d'integrazione basata sulla solidarietà, fondata sul rispetto della sovranità dei singoli stati e portatrice di un nuovo approccio verso i trattati di area di libero scambio che tuteli le condizioni dei lavoratori e assicuri salari dignitosi. E quali tempi si dovrebbero dare i paesi del Sud per raggiungere quest'obiettivo?
Non sono d'accordo con quest'approccio. Come ho detto sopra, non è il momento di cambiamenti di Trattati. Prima deve essere fermata questa frammentazione e solo poi si potrà discutere il consolidamento. Detto questo, gli attuali Trattati permettono la cosiddetta “cooperazione rafforzata”, che rende a possibile a nove o più stati membri di attuare politiche dell'UE non vincolanti per il resto dei paesi membri. Forse i paesi dell'Europa del sud potrebbero pensare a sfruttare questa possibilità istituzionale.

- Nell'attuale contesto geopolitico di profondi cambiamenti in corso, l'Europa sembra procedere molto rapidamente verso una strada ben definita. E' chiaro come, soprattutto dopo le sanzioni alla Russia e la politica interventista della Nato in Ucraina, il passaggio inevitabile dell'integrazione europea si chiama TTIP, l'aera di libero scambio con gli Stati Uniti che le élite europee vogliono approvare nel 2015. Cosa cambierebbe un governo Syriza da questo punto di vista?
Il problema con l'attuale formulazione di un'area di libero scambio con gli Stati Uniti, il TTIP, non è sul libero mercato, ma, al contrario, sulla gestione dei diritti di proprietà, standard ambientali e sanitari delle corporazioni multinazionali. In modo similare, per quel che riguarda le questioni di sicurezza. L'Ucraina dovrebbe essere stabilizzata e la Russia democratizzata. Ahimé, l'attuale stallo con Mosca non dipende da questo, ma, piuttosto, fa parte di una lotta geopolitica sporca dalla quale i cittadini europei, dall'Atlantico agli Urali, ne usciranno sconfitti.

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