Stessa guerra, paese diverso

"In Same War, Different Country", Thomas Friedman passa in rassegna gli interventi militari americani degli ultimi anni, dalla guerra "sbagliata" all'Iraq, alla "giusta" guerra in Libia, alla guerra "per necessità" in Afghanistan alla guerra "morale" in Bosnia fino ad oggi, con l'intervento in Siria presentato come un'altra guerra necessaria. Per Friedman si tratta della stessa guerra, combattuta in paesi diversi.
E' la guerra che si combatte quando società multisettarie, la maggior parte di esse musulmane o arabe, soggiogate da dittature decennali si sbarazzano del proprio deposta illudendosi di aver così automaticamente conquistato la democrazia. Queste guerre, aggiunge Friedman, sono la conferma di quanto sia difficile il passaggio da Saddam a Jefferson - dal dominio verticale all'amministrazione orizzontale - senza cadere in Hobbes o Khomeini.
In Bosnia, dopo la pulizia etnica tra le comunità in lotta, la NATO è intervenuta sancendo una partizione. In Iraq, l'Esercito americano ha rovesciato il dittatore e poi, dopo aver compiuto ogni errore posssibile, ha portato le parti a scrivere un nuovo contratto sociale. Per rendere quest'obiettivo realizzabile ha sorvegliato i confini tra sette ed eliminato molti dei peggiori jihadisti tra le file degli sciiti e dei sunniti per poi ripartire prima che qualsiasi cosa potesse attecchire. Idem in Afghanistan.
Il team di Obama ha voluto essere più intelligente in Libia: nessun uomo sul terreno. Così Gheddafi è stato decapitato dall'aria. Ma l'ambasciatore Stevens è stato ucciso perché senza uomini sul terreno ad agire da arbitri, è Hobbes a prendere il sopravvento su Jefferson.
Se gli Usa dovessero decapitare il regime siriano allo stesso modo, il risultato non sarà molto diverso. Per un possibile esito democratico multisettario in Siria è necessario vincere due guerre sul terreno: una contro l'alleanza Assad-Teheran- Hezbollah e l'altra contro i jihadisti islamisti sunniti e filo-Al Qaeda. Senza un esercito (che nessuno fornirà) che addestri le poche unità dell'Esercito siriano libero entrambi saranno combattimenti in salita.
Il "centro" esiste in questi paesi, ma è debole e disorganizzato, prosegue Friedman nella sua analisi. Questo perchè sono società pluralistiche - miscele di tribù e di sette religiose, vale a dire di sciiti, sunniti, cristiani, curdi, drusi e turcomanni - che non hanno alcun senso di cittadinanza o profonda etica del pluralismo. Cioè, la tolleranza, la cooperazione e il compromesso. Comunità che sono riuscite a vivere insieme finché c'è stato un dittatore che le ha protette (e divise) tutte, da tutte le altre. Ma quando il dittatore cade, e si è in una società pluralistica ma priva di pluralismo, non si può costruire niente perché non c'è mai abbastanza fiducia in una comunità nel cedere il potere ad un' altra - non senza un arbitro chiamato a proteggere tutti, da tutti.
In breve, il problema ora in Siria non è solo l'utilizzo di armi chimiche, ma i cuori avvelenati. Ogni tribù o setta ritiene di essere in lotta contro l'altra.
Ciò significa che la Siria e l'Iraq probabilmente si frattureranno in piccole unità etniche e religiose, come il Kurdistan, e, se siamo fortunati, queste unità si troveranno un modus vivendi, come è accaduto in Libano dopo 14 anni di guerra civile, e poi magari, nel corso del tempo, queste piccole unità volontariamente si riunirano in uno Stato.
Friedman conclude il suo intervento chiedendo che gli si risparmi la lezione che la credibilità dell'America è in gioco in Siria. Come ricorda il Columnist, sunniti e sciiti hanno combattuto dal 7 ° secolo per stabilire chi è l'erede legittimo del profeta Maometto. La loro civiltà ha perso ogni grande moderna tendenza globale - la Riforma religiosa, la democratizzazione, il femminismo e il capitalismo imprenditoriale e innovativo.
Il resto del mondo ha lottato per molto tempo, e ancora oggi sta imparando a tollerare "l'altro". Questa lotta deve accadere anche nel mondo arabo / musulmano. Qual è la differenza tra il risveglio arabo nel 2011 e la transizione del Sudafrica alla democrazia nel 1990? L'America? No. La qualità della leadership locale e il grado di tolleranza.

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