L'euro e l'economia cannibale

L'economia della zona euro sta divorando sé stessa, o meglio una sua parte (la Germania ed i paesi del Nord) sta divorando l'economia dei paesi del Sud. Con questa premessa Jacques Sapir, nel suo ultimo post su Russeurope, prende ad esempio le svalutazioni interne, vale a dire quelle politiche di diminuzione salariale brutale con l'obiettivo di migliorare la competitività esterna. E' chiaro, sostiene l'economista francese, come la conseguente diminuzione di reddito dei lavoratori provoca una contrazione della crescita in Grecia, Spagna, Italia e Portogallo per la diminuzione della produzione e dei profitti delle imprese. Il risultato è che la disoccupazione in Grecia e Spagna è superiore il 25% e anche se la competitività migliora – è il caso della Spagna – è essenzialmente a spesa degli altri paesi del sud, in particolare la Francia.
La produzione industriale si stabilizza per un tempo ma poi diminuisce per la caduta degli investimenti e l'incertezza sul livello della domanda comporta un forte calo dell'investimento. Senza quest'ultimo, le imprese non possono sfruttare il guadagno della maggiore competititvità e, ancora peggio sottolinea Sapir, non possono rinnovare il loro processo produttivo. Quest'ultimo tende a logorarsi e con esso la produttività del lavoro cessa di aumentare e poi comincia a diminuire.
A quel punto i redditi devono diminuire ancora di più per mantenere la competitività per i rapporti dei paesi. In questo modo, l'economia è completamente al collasso, poiché la domanda interna sparisce. Le economie in svalutazione interna non possono trovare la loro salvezza se non dipendendo dalle altre, poiché non esiste più un mercato interno. Questo schema potrebbe essere accettabile, prosegue Sapir, nel caso di un piccolo paese a cui i partner garantissero una politica economica espansiva. Ma, quando questa svalutazione interna avviene nella terza e quarta economia della zona euro – Italia e Spagna - è un vicolo cieco che si traduce in una crescita della Germania ed una stagnazione – o recessione – per il resto della zona. La caduta degli investimenti è il segnale più chiaro che la crisi non è certo alle nostre spalle.
L'economia della zona euro testimonia la sua natura cannibale anche con i tassi d'interessi: dire come il ministro dell'economia francese Moscovici che la crisi è alle nostre spalle perché i tassi d'interessi sono scesi non ha senso a livello economico. Dato che l'inflazione è anch'essa diminuita, i tassi d'interessi reali restano alti ed un ministro delle finanze, sottolinea l'economista francese, dovrebbe conoscere questa relazione, ma Moscovici non sa – o finge di non sapere – che sono quelli reali importanti per l'andamento dell'economia: con un tasso di 0,6% d’inflazione ed un tasso nominale del 4,1%, l’Italia ha un tasso reale del 3,5%. A novembre del 2012 l'inflazione era al 2,5% e per avere un tasso reale del 3,5% c'era bisogno di un tasso nominale del 6%; quindi quello reale sui i buoni del tesoro a 10 anni non è diminuito e la situazione è peggiore in Spagna con una deflazione in corso ed un tasso d'interesse reale al 4,2%. Tasso che pesa sulla ratio debito/Pil. Del resto la crescita nominale non è altro che la crescita reale del Pil che moltiplica il tasso d'inflazione: se quest'ultima è troppo bassa o addirittura negativa, l'andamento deficit/Pil sarà superiore ad 1, a meno che il primo non sia ridotto ad un livello superiore ad 1. Ora il deficit che abbiamo per la mole d'interessi resta elevato in termini reali ed il risultato è che la ratio debito/Pil continua ad aumentare sia in Italia che in Spagna.
La situazione delle economie dei paesi del sud s'aggrava di giorno in giorno ed il movimento dei “forconi” in Italia, che segue quello dei “berretti rossi” in Francia, o il separatismo economico regionale in Spagna dimostrano come siamo arrivati al momento decisivo della crisi, che si manifesterà con molta probabilità in primavera. Il 2014, conclude Sapir, potrebbe essere l'inizio della fine della zona euro.

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