L’Europa a un nuovo bivio storico: l’euro è un pericolo per la pace


di Cesare Sacchetti

Come tutti i processi umani,storici e sociologici che conoscono un inizio e una loro inevitabile fine, anche l’euro rientra in questa categoria e non fa eccezione a questa regola aurea. Si tratta ancora di comprendere quale prezzo, dovranno pagare i popoli europei per vedere ripristinati nell’agenda dei governanti due obbiettivi fondamentali: l’occupazione e la crescita degli investimenti pubblici in innovazione e tecnologia.

I governanti, come spesso accade, non fanno tesoro delle esperienze, ripetono errori e scelte che in un passato non troppo lontano hanno portato l’Europa sull’orlo della catastrofe, ma si è costretti a constatare dalla contemporaneità degli eventi il serio rischio che l’austerità economica e l’unione monetaria sperimentate nel vecchio continente, portino di nuovo sull’orlo del conflitto generalizzato. Dopo la prima guerra mondiale, gli stati nazionali si trovarono a fare i conti con un disastro di proporzioni inedite fino a quel momento. Le guerre di trincea si rivelarono logoranti, portarono con sé un numero inaudito di morti e l’innovazione tecnologica contribuì ad aumentare il massacro.

Dopo il Trattato di Versailles del 1919, la responsabilità del conflitto ricadde sulle spalle della Germania, la quale fu condannata al pagamento di pesantissime sanzioni economiche, frutto della giustificazione del pagamento dei danni di guerra e che portarono alla successiva stagnazione economica della Germania, afflitta dall’iperinflazione e da una disoccupazione crescente. Le raccomandazioni di Keynes, non trovarono ascolto e si decise di insistere su una strada che non poteva che condurre all’inevitabile sorgere della stagione dei totalitarismi europei degli anni’30 e dell’irredentismo tedesco, le cui origini sono da identificare nel trattamento considerato oltremodo iniquo e gravoso dal popolo tedesco, che disconosceva l’intero carico delle responsabilità del primo conflitto mondiale e vedeva nelle sanzioni dei dazi inaccettabili.

La lezione della storia non trovò udienza nelle stanze dei governanti; ancora più violenza e devastazione erano necessari per poter finalmente adire nuove strade di ragionevolezza e comprensione, senza le quali la pacifica convivenza degli stati sarebbe impossibile. La seconda guerra mondiale mise sul banco degli imputati la Germania nazista, ma questa volta dopo il termine del conflitto non si decise di far ripagare interamente i danni di guerra alla Germania, devastata e con una popolazione stremata. Si ascoltò Keynes: i danni di guerra alla Germania furono condonati nel 1953 dopo gli accordi del London debt agreement e la Grecia, vittima di invasione e occupazione da parte delle truppe naziste, rinunciò suo malgrado all’incasso delle riparazioni. Un gesto che forse permise di mettere da parte la nascita di nuovi revanscismi, e rappresentò il primo passo verso un nuovo corso delle relazioni internazionali.

Germania e Grecia di nuovo contro

Dopo la vittoria di Syriza nel 2015, crescono le possibilità di uno scontro tra il paese che più ha imposto e comandato l’austerity, la Germania, e il paese che più ne ha subito la violenza e le conseguenze in termini macroeconomici e sociali, la Grecia. Potremmo affermare che in un certo senso, i greci hanno già voltato pagina prima delle elezioni, mettendo in atto il più grande sciopero fiscale mai visto nel paese e hanno deciso di non procedere oltre sulla via dei tagli allo stato sociale. Il debito della Grecia è pari al 175% del PIL, e nelle casse del bilancio greco ci sono soldi a disposizione fino a marzo, quando si dovranno restituire 7 miliardi di euro al Fondo Monetario Internazionale; dopodiché gli euro in cassa saranno finiti. La Germania ribadisce la regola della fermezza: gli impegni vanno rispettati e il debito ripagato.

E’ opportuno ricordare che le regole che la Germania pretende di far rispettare oggi, furono infrante dalla Germania stessa ieri. Nel 2003, quando la Germania si trovava in una fase di stagnazione economica, il governo Schröder pensò di sforare il parametro del 3% di deficit/PIL, per poter uscire da quella recessione. L’economia tedesca già si trovava in forte sofferenza dalla fine del 2002, quando la disoccupazione si attestava intorno al 8.7%, per crescere nel 2003 al 9.8%, aumentando ancora al 10.5% nel 2004, fino ad arrivare al 11,3% nel 2005. Le riforme Haartz varate nel 2004-2005, per contrastare la disoccupazione crearono la categoria dei mini-jobs e dei lavori sottopagati da 400 euro al mese. Si pensò quindi di combattere la disoccupazione creando una sottoccupazione, non meno dannosa della prima.

Era forse quello il momento più opportuno per aprire una riflessione sulle regole di Maastricht, e interrogarsi sugli effetti dell’unione monetaria. Pertanto invocare il rispetto delle regole nei confronti della Grecia oggi, non ha senso dopo che il popolo greco ha vissuto 5 anni di rigore economico, che hanno dato come risultati la disoccupazione giovanile più alta d’Europa ( 53%) , il taglio della tredicesima ai pensionati e compromesso seriamente la somministrazione dei servizi pubblici essenziali al popolo greco. Abbiamo già accennato in passato (http://www.lantidiplomatico.it/dettnews.php?idx=6&pg=8863) che uno stato non è tenuto a ripagare il proprio debito estero, quando esso arrivi a compromettere le funzionalità stesse del vivere civile, senza le quali il caos e il disordine regnerebbero sovrani. Il caso vuole che in quel precedente giuridico fu proprio il Belgio contro la Grecia negli anni’30, a invocare il parere della Corte Internazionale di Giustizia, che diede ragione al governo ellenico proprio sulla base del suddetto principio. Specularmente la Grecia oggi, potrebbe rifarsi allo stesso precedente della giurisprudenza internazionale che la vide coinvolta e uscire vincente ottant’anni fa.

Cosa farà la Germania?

Alcuni analisti pensano che la Germania allenterà la presa sulla Grecia e concederà una dilazione nel pagamento del debito. Se effettivamente sarà questa la strada intrapresa da Angela Merkel, è facile prevedere che i Paesi del Sud - Europa potrebbero reclamare lo stesso trattamento applicato nei confronti della Grecia e a quel punto l’euro ha i giorni contati. Se invece si prosegue sulla strada del rigore, sarà il governo Tsipras a dover mantenere fede al suo programma e in tal caso il mancato pagamento del debito potrebbe scatenare le ritorsioni internazionali. Se Tsipras accetterà le condizioni inaccettabili della Germania, si entra in una fase di pericolosa instabilità per la Grecia e gli scenari catastrofici del passato potrebbero ripetersi ancora. E’ chiaro che l’unica condizione per mantenere in vita l’euro, sono i tagli alla spesa pubblica, l’aumento delle tasse e la privatizzazione di tutti i servizi pubblici.

Il pagamento del debito è diventato insostenibile, e il popolo greco è già fortemente provato dagli anni del rigore e non intende accettare ulteriormente queste politiche. Se il nuovo governo non sarà in grado di cambiare la storia, le formazioni politiche più estreme hanno serie possibilità di salire al potere. In un modo o nell’altro, l’austerità e l’euro finiranno, e parlare della pax europea è un mantra inutile e grottesco, che non fa altro che allargare l’ampia frattura tra rappresentati e rappresentanti. L’unico modo per uscire da questa fase senza traumi eccessivi, è lo smantellamento concordato dell’eurozona e la volontà della Germania di rinunciare all’incasso dei crediti. Se si sceglierà questa via, sarà ancora possibile salvare l’Europa dal disastro, altrimenti la storia si ripeterà di nuovo ed è qualcosa che non vorremmo vedere.

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