Ardere vivi prigionieri: una storia recente (anche) occidentale



di Diego Angelo Bertozzi

Il New York Times apre un piccolo squarcio su di una delle tante rimozioni che riguardano la storia della democrazia statunitense (quindi occidentale): la pratica sistematica del linciaggio contro le razze inferiori, accusate sovente di essere agenti patogeni della sovversione dell'ordine costituito. Una macabra via - non certo la sola - per risolvere, attraverso l'esempio e con la tolleranza delle autorità, l'emergere del conflitto di classe.
Racconta il giornale: dal 1848 al 1928, veri e propri pogrom di massa hanno portato all'uccisione di migliaia di messicani in Stati come l'Arizona, la California, il Nuovo Messico, il Texas, il Nebraska e l'Wyoming.
Nel 1910 in Texas, una folla preleva da una prigione un lavoratore messicano di 20 anni, Antonio Rodríguez, accusato di aver ucciso la moglie di un allevatore: viene legato ad un albero, cosparso di cherosene e bruciato vivo.
Nella primavera del 1922, sempre in Texas, tre uomini afro-americani - due dei quali quasi certamente innocenti - sono accusati di aver ucciso una donna bianca e, sotto lo sguardo di centinaia di spettatori, vengono castrati, accoltellati, picchiati, legati a un aratro e arsi vivi.
Sono questi solo due esempi del "terrorismo razziale" che si è scatenato negli Stati Uniti dal 1877 al 1950 e che ha portato all'uccisione di circa 4.000 uomini e donne, secondo lo studio condotto dalla Equal Justice Initiative.

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