L’Ucraina mette il bavaglio ai giornalisti russi e l'Occidente di ‘Je suis Charlie’ tace


di Eugenio Cipolla

C’è una foto dello scorso 11 gennaio che ritrae i maggiori leader europei e mondiali in testa al corteo organizzato a Parigi per ricordare le vittime di Charlie Hebdo. Merkel, Hollande, Renzi, Cameron, Rajoy e altri cinquanta tra capi di Stato e di governo (c’era anche il presidente ucraino, Petro Poroshenko) si erano uniti per dire no alla follia islamica, per sostenere la libertà di stampa ed espressione. Oggi quegli stessi sembra leader sembrano spariti, quasi eclissati di fronte a quanto sta succedendo in Ucraina ai giornalisti russi.

Il 12 febbraio scorso la Verkhovna Rada, il parlamento ucraino, con 239 voti a favore, ha deciso di sospendere fino alla fine dei combattimenti in Donbass gli accrediti presso le strutture governative ai media russi. Nella lista sono finite in cento tra testate ed emittenti televisive. Questioni di sicurezza, hanno fatto sapere da Kiev. La decisione ovviamente ha fatto infuriare Mosca, anche se Dmitry Peskov, portavoce di Putin, ha assicurato che il Cremlino non limiterà di certo il lavoro dei media ucraini in terra russa. «La Russia – ha detto Peskov – è un paese in cui l’attività dei media è regolata dalla legge e dove i giornalisti russi e stranieri hanno lo stesso diritto ad essere informati e ad informare».
Ciò nonostante, alcuni, come Leonid Slutsky, capo della Commissione per gli affari della CSI della Duma, non hanno resistito a sparare bordate nei confronti Kiev. «Questa decisione è assurda. Nemmeno durante la Guerra Fredda è accaduta una cosa del genere. Si tratta di una violazione completa dei valori democratici europei in termini di libertà di parola e di diritto alla completezza dell’informazione. Questa censura è caratteristica dei regimi totalitari». Della cosa si sono occupati anche quelli di Repoter Senza Frontiere. «I giornalisti dovrebbero lavorare liberamente, senza ostacolo. La decisione di Kiev è sproporzionata e irragionevole», ha detto alla Tass il capo del ramo tedesco dell’organizzazione internazionale, Christian Mir.
Persino l’Osce, che da mesi è presente in est Ucraina con una missione di monitoraggio, ha condannato la decisione del parlamento ucraino, bollandola come eccessiva. «La mancanza di trasparenza in materia è preoccupante», ha detto Diana Mijatović, rappresentante Osce per la libertà dei media. «Le autorità dovrebbero spiegare il loro ragionamento su questi passi e anche fornire un elenco completo dei media interessati».
Il fuoco di sbarramento si è intensificato nelle ultime 48 ore. Ieri la giornalista del primo canale russo, Elena Makarova, e il collega di NTV, Andrei Grigoriev, sono stati arrestati a Kiev subito dopo aver effettuato delle riprese durante una marcia del Pravyi Sektor. La polizia li ha fermati, ha preso tutti i filmati, minacciando di rompere la telecamera. «Sono stato mandata in un ufficio, il mio operatore in un’altra stanza», ha raccontato la Makarova. «Si sono segnati i dati del mio passaporto e mi hanno posto alcune domande, sul canale con cui lavoro, come ho avuto modo di entrare in Ucraina. Non mi hanno lasciata sola un minuto, ovunque andassi c’erano persone vicino a me». Poi le autorità di Kiev le hanno dato poco più di un’ora, le hanno chiesto di raccogliere le sue cose e l’hanno invitata a lasciare il paese.
Stessa sorte è capitata stanotte a Inna Osipova, anch’essa giornalista dell’emittente russa NTV. Ieri sera era atterrata a Kiev, ma ai controlli le hanno impedito l’ingresso nel paese, togliendole il passaporto e promettendole la restituzione solo al momento della ripartenza verso la Russia. «In aereporto – ha raccontato la Osipova – c’è una scritta che dice ”Kiev è una città aperta al mondo”, ma nel mio caso è un po’ comico, perché ancora non mi hanno ridato il passaporto. Mi è stato detto che mi sarà consegnato nella hall dell’aereporto, poco prima della partenza per la Russia». L’SBU, il servizio di sicurezza dell’Ucraina, si è limitata a diramare un comunicato dove diceva di aver rilasciato i giornalisti russi, avvertendo gli ucraini sui rischi di cooperazione con i media di Mosca. Tutto questo mentre i leader occidentali, gli stessi in prima fila a Parigi quel famoso 11 gennaio, ignorano la cosa, mostrando un’indifferenza spaventosa, senza dubbio inquietante.

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