FATCA: Il grande fratello fiscale targato USA arriva in Italia


di Cesare Sacchetti
Ci si interroga spesso su quali siano gli effettivi poteri a disposizione della governance mondiale, dopo il passaggio dalla società statuali a quelle senza stato, in una struttura transnazionale priva di confini specifici. L’ultimo passaggio che affida ai poteri sovranazionali un controllo sempre più pervasivo e irresponsabile, in quanto non chi detiene questi poteri non viene mai chiamato mai a rispondere dei propri atti è quello del FATCA, un acronimo che sta per Foreign Account Tax Compliance Act. La traduzione di questa arcana espressione anglosassone nasconde il controllo dei conti correnti detenuti dai cittadini americani all’estero superiori alla soglia di 50000 $. L’Italia ha firmato questo accordo internazionale nel gennaio 2014 e proprio l’altro ieri il Senato ha espresso il proprio voto favorevole alla legge di ratifica.
Gli Stati Uniti hanno l’esigenza, almeno questa è la ragione che è stata addotta, di recuperare le quote di capitali che vengono esportate illecitamente all’estero e chiede la collaborazione a livello internazionale degli altri stati. Ma il FATCA è davvero in grado di recuperare i capitali che lasciano ogni anno gli Stati Uniti? Secondo uno studio fatto per il Congresso USA da Jane G. Gravelle, esperta di politiche economiche, l’accordo in questione potrebbe recuperare 8 miliardi di evasione fiscale su un totale stimato di ben 40 miliardi, ovvero un magro 20%. Una quota ben lontana dall’assorbire i costi che importa una tale operazione di recupero dei capitali che si dichiarano di voler far rientrare.
Qual è quindi l’esigenza per Washington di questo accordo? Se si da uno sguardo al testo ci si rende conto che lo scopo altro non è che seguire i movimenti dei cittadini americani all’estero, in quanto le autorità straniere che hanno l’onere di combattere l’evasione fiscale, sono chiamate a trasmettere una serie di dati personali dei cittadini USA, come il nome, l’indirizzo, il codice fiscale di ciascuna persona statunitense, il numero di conto corrente con relativo saldo, e nel caso di un conto di custodia si domanda perfino la comunicazione dell’importo totale lordo degli interessi, secondo quanto disposto dall’art. 2 dell’accordo. Una forma di controllo che vede la necessaria collaborazione delle autorità straniere che accettano queste clausole.
Nel nostro caso quindi l’Agenzia delle Entrate sarebbe chiamata a vestire questo ruolo, e potrebbe trovarsi addirittura sottoposta all’autorità di un’agenzia straniera, ovvero quella statunitense. E’ quanto previsto dall’art.5 che chiama in causa la “grave non conformità”, che lascia libertà agli stati firmatari di stabilire se l’altra parte stia adempiendo o meno al rispetto degli accordi, e se qualora ci dovesse essere una difformità di giudizio, uno dei due può agire sulla base del proprio diritto interno fino a invocare un potere sanzionatorio nei confronti della parte inadempiente; ovviamente sempre sull’interpretazione unilaterale di una delle parti.

Ora, qualcuno potrà obbiettare che questa clausola è reciproca, e teoricamente anche l’Italia potrebbe avvalersene per sanzionare l’autorità statunitense nel caso in cui ci dovesse essere una differenza di vedute. Se si guarda alla storia dei rapporti Italia-USA , sembra un caso piuttosto improbabile dal momento che nella storia recente delle relazioni tra le due parti, sono stati ben pochi i casi in cui l’Italia ha difeso la sua sovranità. Quindi questo articolo sembra essere stato scritto proprio per permettere agli Stati Uniti di realizzare il loro esclusivo interesse, e questo pare violare l’art.11 della Costituzione, quando in materia di trattati internazionali si fa riferimento a una limitazione di sovranità e non a una completa cessione. Se un’autorità straniera assume il potere di decidere se stiamo o meno rispettando gli accordi tanto da multarci, siamo allora in una flagrante violazione della Costituzione.

Non tutti hanno accettato queste condizioni. Russia e Cina hanno rifiutato la firma di questo accordo. Il vice direttore generale degli affari legali della Banca centrale della Repubblica popolare cinese, Liu Xiangmin ha dichiarato che "le leggi e i regolamenti bancari cinesi non consentono alle istituzioni finanziarie cinesi di conformarsi al FATCA direttamente". Perplessità che sono state sollevate negli stessi Stati Uniti, quando Bill Posey, membro della Camera dei Rappresentanti per lo stato della Florida, ha preso carta e penna per scrivere una missiva al Segretario al Tesoro, Jack Lew, riguardo all’approvazione del FATCA nella quale il deputato “esprime preoccupazione per l’approvazione di norme che impongono a banche americane la raccolta di dati sensibili di cittadini stranieri e che non porteranno un dollaro nelle casse del Tesoro, ma al contrario otterranno l’effetto contrario, quello di scoraggiare gli investimenti negli Stati Uniti. Appare del tutto evidente che il FATCA debba essere emendato o respinto, e rimpiazzato con un accordo cooperativo che ostacoli l’evasione fiscale, senza coinvolgere persone estranee o innocenti”.
L’aspetto più preoccupante è proprio l’ultimo messo in rilievo da Posey, poiché l’accordo non riguarda solo i dati sensibili dei cittadini americani ma anche potenzialmente dei cittadini stranieri che ricavino profitto in qualche modo dagli Stati Uniti. Un cittadino italiano che ha investito capitali attraverso una banca italiana sul territorio italiano, potrà essere interessato da questo accordo se il suo investimento abbia a che fare in qualche modo con gli Stati Uniti. Il Senato ha approvato questo accordo che contiene in sé dei palesi profili di incostituzionalità proprio due giorni fa con una maggioranza di 175 voti, composta da PD e Forza Italia forse in omaggio a un patto del Nazareno mai estinto, e 42 astenuti della Lega Nord e del Movimento 5Stelle e due soli voti contrari dei senatori del gruppo Misto, Paola De Pin e Laura Bignami.

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