Il Paese ha bisogno di un CLN che ripristini la Costituzione


di Cesare Sacchetti

I padri costituenti nel biennio successivo alla fine della seconda guerra mondiale ebbero un compito piuttosto gravoso quando si riunirono per dare una Costituzione all’Italia, e dopo oltre mezzo secolo di distanza le forze intellettuali e politiche che scrissero la Carta possono definirsi ancora come la sintesi collettiva delle migliori intelligenze dell’epoca e probabilmente anche dell’attuale presente. Uno sforzo dal quale scaturì una Carta Costituzionale, che per i suoi fondamentali diritti civili e sociali ancora oggi conosce pochi eguali tra le leggi fondamentali degli altri paesi, e che permise a una nazione sepolta dalle macerie di assurgere al rango di quarta potenza industriale del mondo occidentale in pochi decenni.
E’ a questo orizzonte storico e culturale che si ispira l’iniziativa promossa da “Ora Costituente”, che vuole sensibilizzare le differenti anime dell’opinione pubblica, dell’accademia, e delle istituzioni a ricreare quella sintesi fondamentale che interpreti la necessità di arrestare la deriva anticostituzionale di questa difficile contemporaneità, attraversata da una successione di eventi che stanno progressivamente alterando gli assetti fondamentali della Costituzione e che segna il punto di passaggio verso un altro ordinamento giuridico ed economico, molto simile ad una struttura autoritaria di origine sovranazionale che non tollera il dissenso e annulla la partecipazione democratica del singolo cittadino. Ne hanno discusso il 19 giugno al Centro Congressi Cavour di Roma: Alfiero Grandi, politico e sindacalista; Alfredo D’Attorre, deputato PD ed esponente della minoranza critica del partito nei confronti del governo Renzi; Luciano Barra Caracciolo, presidente della VI sezione del Consiglio di Stato ed autore dell’opera “Euro e (o?) democrazia costituzionale” e il senatore Francesco Campanella, autore di un disegno di legge sul recupero degli immobili fatiscenti e di una mozione sul recupero del patrimonio immobiliare e dei beni culturali.
Alfiero Grandi . L’analisi di Grandi ha messo in rilievo l’accentramento dei poteri da parte dell’esecutivo e la compressione dell’esigenza di rappresentanza degli enti locali. Dopo la discussa riforma del Titolo V, che ha assegnato un ruolo decisionale più incisivo alle regioni, ora il Governo ha l’esigenza di rimuovere nel meccanismo decisionale il peso degli enti locali ed ecco che da questa prospettiva nasce la necessità di una riforma costituzionale. Non si rimedia alla pessima riforma del Titolo V, con una riforma ancora peggiore che trasforma il governo nell’unico interprete della logica politica. “Dobbiamo fare i conti con un atteggiamento sbrigativo, refrattario al dialogo” che secondo Grandi sta comprimendo irrimediabilmente il meccanismo decisionale e la possibilità di aprire un dialogo con le varie anime della società civile.
E’ questa la dinamica da cui è scaturito il decreto Sblocca Italia che racchiude delle norme incostituzionali, come quelle che riguardano le trivellazioni terrestri e marine, oppure quelle della TAV; opere decise autonomamente dal Governo senza neppure interpellare gli enti locali. Una situazione che ha generato una serie di ricorsi alla Corte Costituzionale da parte delle regioni e dei comuni che denunciano ripetute violazioni della Carta. Se dovessero invece essere approvate le riforme costituzionali in discussione al Parlamento, lo scenario sarebbe completamente stravolto e il Governo resterebbe l’unico attore sulla scena, mentre il Parlamento perderebbe il suo ruolo decisionale. “Abbiamo adesso il decretismo, con un eccesso di decreti legge che ha accentrato i poteri del governo”. Le due camere sono divenute completamente subalterne al governo e non esiste più la separazione dei poteri, una situazione che è molto vicina ad “ una crisi democratica che può sfociare in una svolta di tipo autoritario” sostiene Grandi, che auspica un referendum confermativo sulle riforme costituzionali del Governo e puntualizza che questa iniziativa è aperta a tutte le formazioni politiche e sociali.

Alfredo D’Attorre. Il deputato PD che si è espresso molto criticamente in passato con il Governo Renzi sottolinea che “il governo Renzi non è affatto la soluzione , è anzi il problema”. Secondo D’Attorre “questo modello istituzionale non è il frutto di un’idea del momento” ma è l’effetto di un disegno di lungo periodo che affonda le sue radici da Maastricht in poi . La legge elettorale serve solamente a designare un vincitore, e non è certo Renzi il padre di questa idea. La sinistra italiana aveva già fatto aperture in questo senso nei decenni passati, che sono stati parte di un processo più lungo costituito da diversi passaggi che hanno indebolito la sovranità popolare da Maastricht in poi. Da quel momento la politica si è spogliata dei suoi poteri economici essenziali, come il controllo della moneta e del bilancio per affidarli a entità sovranazionali europee. L’esigenza di trasformazione del sistema politico da proporzionale a maggioritario è la diretta conseguenza dell’approvazione del Trattato di Maastricht.
Se le istituzioni debbono perseguire interessi esteri, è implicito che il Parlamento perda i suoi poteri essenziali. “Maastricht da un lato e il maggioritario dall’altro sono l’uno la diretta conseguenza dell’altro” e l’Italicum per D’Attorre “è una prosecuzione del porcellum, quando il partito di maggioranza ha un premio di maggioranza sproporzionato. Noi abbiamo questo ibrido”. Dal momento in cui si sono accettati i vincoli europei, c’è stata la concentrazione del potere in una sola persona. Il parlamento ha perduto la sovranità legislativa e il diretto risultato è stato la concentrazione del potere nella mani di una sola persona, sotto la sorveglianza e direzione del vincolo esterno. Adesso la partita è quella della costruzione di una nuova sinistra, che si proponga di difendere il nostro Paese e si faccia interprese degli interessi nazionali, che sono un passaggio obbligato se si ha l’intenzione di difendere i ceti popolari e subalterni. “Questa è la battaglia che il nostro Paese deve intraprendere per liberarci dal vincolo europeo” conclude D’Attore che auspica l’apertura di un nuovo campo, “non settario e inclusivo nel linguaggio”.
Luciano Barra Caracciolo. La patina di vecchiaia con la quale gli apologeti del vincolo esterno, vogliono rappresentare la Costituzione è senz’altro una narrazione priva di fondamento. Questa la considerazione dalla quale parte Luciano Barra Caracciolo nella sua ricostruzione storica, economica e giuridica delle dinamiche che hanno portato alla nascita del vincolo esterno. Al contrario ciò che appare vecchio e superato, lo si può dire del disegno dei trattati europei che altro non sono che la restaurazione di un modello economico e sociale superato, che ha fallito alla prova della storia. E’ la Costituzione l’interprete migliore della modernità, che si fonda su quel modello economico della democrazia necessitata fondata sui diritti sociali che come sostiene Mortati “ o è democrazia necessitata o semplicemente non è democrazia”.
Tutto ciò che vuole sostituire la Costituzione è la rappresentazione di un processo ben più antico, che trae le sue origini dall’economia neoliberista o neoclassica che produsse i danni della crisi del’29 e aprì le porte al nazismo. Le modalità con cui queste teorie sono state riproposte in Italia, secondo Barra Caracciolo sono state rappresentate “come un’utopia salvifica necessaria per salvare il Paese”. Il movimento che si è fatto portatore di questa strategia è l’ordoliberismo, l’interprete principale del vincolo esterno che ha in sé una pretesa etica. Da questo portato parte la retorica che demonizza la spesa pubblica, con una costante e progressiva falsificazione della realtà. “ Tutto ciò sovverte la crescita economica di cui aveva potuto godere l’Italia, e la questione morale è stata utilizzata come uno strumento per realizzare questo processo”.
Questa è stata una lotta contro lo Stato disegnato dalla Costituzione, ucciso con la scusa del clientelismo e che ha impedito di sanare quelle corruttele che si erano instaurate all’epoca. Il problema della Costituzione economica è ben più importante della riforma del Senato, perché la sua disattivazione ha comportato la fine dei diritti fondamentali. È un processo strettamente collegato con la “privatizzazione del diritto internazionale”, ovvero un’espressione che sta a significare che il diritto rispecchia non più interessi di natura pubblica ma quelli di soggetti e referenti privati che non sono altro che le organizzazioni internazionali tout court. “I trattati europei sono il buco nero che distrugge la sovranità” afferma Barra Caracciolo che critica l’attuale struttura economica caratterizzata esclusivamente dal lato dell’offerta, che è spesso la rappresentazione di oligopoli. La libera concorrenza dei trattati si applica soltanto al mercato del lavoro. La repressione dell’inflazione e dei livelli salariali fu la stessa dinamica che permise la crisi del’29 e che venne sostenuta dagli economisti ortodossi dell’epoca sostenendo che il mercato si sarebbe autoregolato da sé. Da qui la conclusione inevitabile del giurista che “l’euro assieme ai suoi vincoli è incompatibile con la Costituzione che al primo posto mette il diritto al lavoro. I costituenti non potevano certo immaginare che saremmo arrivati a questo punto e la sopravvivenza della democrazia è in gioco. “
Francesco Campanella. Lo spunto di riflessione offerto dal Senatore Campanella parte dal rapporto redatto da JP Morgan sulle Costituzioni antifasciste che critica il bilanciamento dei poteri e invoca la presenza di un governo forte. Il lavoro, secondo la visione della banca d’affari, non deve più godere di protezione e la libertà di protestare da parte dei cittadini va compressa. Uno Stato quello descritto da JP Morgan, che non è più funzionale alle esigenze delle masse popolari, ma portavoce delle istanze delle élite che ne dominano le politiche e ne indirizzano i percorsi. Campanella denuncia che “questi cambiamenti sono alieni alla nostra Costituzione” e critica il passaggio che ha portato all’approvazione delle riforme strutturali, che segue il processo di svuotamento della sovranità popolare e di indebolimento delle classi lavoratrici.
Un orizzonte quello tracciato dalle oligarchie finanziarie che porta le masse a “ vivere in un eterno presente perché ci viene negato il nostro futuro.” Campanella critica anche l’inadeguatezza della politica in questo momento, che appare assuefatta a questo stato di decadimento della democrazia: “al cittadino italiano è stata sottratta la facoltà di partecipazione né tantomeno è consentito incidere sulle scelte pubbliche, e la sostanza della partecipazione alla vita politica in questo modo viene annullata.” È quindi necessaria una reazione non violenta che fermi questo processo e ognuno di noi è chiamato a diffondere questo messaggio anche “prendendo amici e familiari e provare a spiegargli cosa sta succedendo. Sto appunto lavorando a questo aspetto con pubblicazioni accessibili a tutti per permettere di capire gli eventi che stiamo vivendo.”
Una situazione che ha molte analogie con l’antico regime, e che termina con la negazione della tripartizione dei poteri di Montesquieu. Dunque “comanda chi ha il potere economico e non ha alcuna contrapposizione e questa senza dubbio è una dinamica premoderna.” Una deriva che può essere arrestata utilizzando tutti gli strumenti che la Costituzione e le leggi mettono a disposizione. Le forze che governano questo processo sono potentissime e hanno a disposizione la totalità dei mass-media. ”Dobbiamo tornare a riscoprire i nostri diritti e i nostri doveri” conclude Campanella che invoca la necessità di difendere l’eredità dei padri costituenti.

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