Washington teme per la Grexit: ipotesi golpe?


di Cesare Sacchetti
Le possibilità che una Grexit si realizzi non dipendono esclusivamente dalle sorti delle trattative che hanno di nuovo iniziato a riempire i contenuti del dibattito, Euro Sì e Euro No, ma sono affidate ad un attore che osserva e che dirige le dinamiche della crisi greca: gli USA. Negli ultimi giorni Obama non ha nascosto la sua crescente preoccupazione per la piega che sta prendendo la crisi greca, ed ha invitato la Merkel a concedere un haircut piuttosto consistente sul debito greco. L’Europa a trazione merkeliana ha da par suo concepito l’austerity che ancora oggi tiene imprigionata l’economia europea nelle maglie della deflazione. Dal punto di vista macroeconomico se si vuole tenere in vita l’euro, la moneta finanziaria dei mercati che non appartiene agli stati sovrani, è necessario ricorrere alle austerità più selvagge delle svalutazioni salariali, senza le quali vengono meno le condizioni per mantenere in vita l’eurozona.
Il “whatever it takes” di Mario Draghi voleva significare proprio questo, dal momento che le tecnocrazie europee sono pronte a portare il dogma della moneta unica fino alle estreme conseguenze, tanto da approdare nel terreno della povertà collettiva fatta di servi della gleba e di vassalli dell’euro pronti al sacrificio a spese altrui, per tenere in vita la moneta unica. L’austerity è la macchina artificiale che mantiene in vita l’euro e nessuno in Europa è pronto a staccare la spina se non per interessi che superino in peso e sostanza quelli tedeschi. Dal momento che la crisi del debito spinge la Grecia fuori dall’eurozona, la sfera di interessi di Washington viene lesa quando la Russia è pronta ad accogliere nell’orbita dei BRICS un paese maltrattato e umiliato dai vertici europei. Alla Casa Bianca sanno che un’uscita in questo momento della Grecia dall’eurozona può avere un forte effetto destabilizzatore per tutta l’Europa mediterranea e provocare quel temuto effetto domino che sposterebbe il centro degli interessi dell’Europa del Sud nella sfera della Russia e dei BRICS.
La Germania in questo scenario è costretta a piegare i propri interessi e a concedere lo sconto del debito alla Grecia, che ad ogni modo non risolve i problemi strutturali della moneta unica e rimanderebbe il problema solamente di pochi mesi in avanti. Quegli stessi problemi strutturali non vogliono essere risolti dalla Germania perché non le permetterebbero più di poter accumulare quei surplus sulla bilancia dei pagamenti e costringere le economie degli stati vicini al cappio della deflazione per la restituzione dei crediti concessi con troppa facilità in precedenza. Se Washington decide che questo processo deve finire, perché rischia di far perdere una posizione strategica nell’Europa Orientale, è molto probabile che uno sconto sul debito verrà concesso. Questa lettura permette di comprendere meglio le giravolte del FMI, uno dei membri della Troika, che per bocca del suo capo economista Blanchard affermava in prima battuta nel 2010 che le riforme strutturali avrebbero permesso all’economia greca di conoscere una nuova fase espansiva ( la famigerata “austerità espansiva”), e nel 2013 lo portano candidamente ad ammettere che il credito agevolato non avrebbe mitigato le condizioni dell’austerità, e avrebbe conseguentemente portato il debito a soglie di insostenibilità con degli avanzi primari che reprimono le possibilità di crescita economica.
Cosa è cambiato dunque? Il FMI è passato da essere l’attore più irreprensibile dell’austerity a quello più accomodante sulla tesi irrefutabile portata avanti dal governo greco del debito insostenibile. Il fattore geopolitico assume una rilevanza sempre maggiore e se un compromesso non dovesse essere raggiunto entro domenica, il governo americano potrebbe essere pronto a giocarsi la carta più pericolosa, quella del golpe che rischierebbe di essere una replica di quanto già accaduto in Ucraina due anni fa. Lo scorso 17 marzo ha fatto visita a Tsipras, Viktoria Nuland, la donna mandata da Washington responsabile delle politiche euroasiatiche che molti ricorderanno per il suo celebre “fuck the EU”, e che ha giocato un ruolo primario nel rovesciamento del governo di Yanukovich in Ucraina. In quell’incontro la Nuland avrebbe edotto Tsipras dei rischi di un’eventuale Grexit, che potevano portare ad una destituzione del legittimo governo da poco eletto. Come riportato dal Guardian, la “Nuland è volata ad Atene, tra le crescenti preoccupazioni che la grande crisi del debito dell'euro che iniziano a rappresentare una minaccia geopolitica. Se la situazione dovesse sfuggire di mano, la Grecia potrebbe finire nella sfera della Russia, senza le strutture dell’UE che la collegano all’Europa Occidentale. Il fronte sud-orientale della Nato sarebbe enormemente indebolito in un momento di forte preoccupazione per la sicurezza globale messa a rischio dai fondamentalisti islamici in Medio Oriente”. La perdita della Grecia quindi è inaccettabile per Washington non tanto per contrastare la “minaccia” dell’ISIS, quanto per mantenere intatte le postazioni Nato nell’Europa Orientale e continuare la politica di accerchiamento nei confronti della Russia.
I colonnelli del 1967 e la sovranità limitata
Quando il 21 aprile del 1967 il Colonnello Papadopoulos prese il potere in Grecia con un colpo di stato e instaurò la famigerata “dittatura dei colonnelli” che durò fino al 1974, fu per espressa volontà di Washington. Papadopoulos era un’espressione della CIA e il punto di contatto tra questa e la sua controparte greca. La penisola greca rischiava di slittare nella sfera dell’Unione Sovietica e per scongiurare questa evenienza, il governo americano non esitò ad appoggiare una delle dittature più repressive che il mondo occidentale ricordi dal dopoguerra ad oggi. La sovranità dell’Europa e dei paesi Nato era sottoposta a pesanti limitazioni che nel corso dei decenni sono aumentate a dismisura, ben oltre il campo dell’ingerenza negli affari esteri. L’Unione Europea è stato l’ultimo passo verso la fine delle sovranità nazionali , e la rappresentazione più vivida della sudditanza dei paesi europei agli interessi americani.
La tesi che l’Europa abbia più peso geopolitico è stata smentita dalla conferma evidente che la cancellazione delle singole sovranità degli stati europei, cedute alla governance europea, hanno di fatto reso più agevole il controllo del vecchio continente da parte degli USA, che in passato era chiamato a confrontarsi con i singoli stati-nazione. Questa dinamica è stata superata dal momento che la centralizzazione del potere europeo a livello sovranazionale, consente a Washington di interfacciarsi direttamente con un solo attore, l’UE e la Germania che la guida. Se la Grecia dovesse resistere fino in fondo nella difesa dei propri interessi nazionali, non sarebbe una sorpresa vedere nuovamente vecchie dinamiche del passato ripetersi. Berlino non avrebbe difficoltà ad appoggiare questa manovra, dal momento che non ha mai amato particolarmente il governo Tsipras arrivando persino a disconoscerne la legittimazione elettorale. Qualsiasi sarà l’esito della crisi l’UE e l’euro saranno destinati ad affrontare nuovi crisi sistemiche molto presto, sia nel caso di uno sconto sul debito greco che potrebbe portare a domandare i paesi dell’Europa del Sud a invocare lo stesso trattamento nei loro confronti, sia nel caso di un’uscita della Grecia dalla moneta unica che accelererebbe il processo di disgregazione dell’area valutaria. Non c’è verso a quanto pare di indurre alla ragionevolezza dei governanti che rappresentano molti interessi, fuorché quelli dei popoli europei.

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