Non solo neo-nazi: in Donbass ad aiutare l’Ucraina combattono anche gli estremisti islamici


di Eugenio Cipolla

La storia, dopo le pesanti accuse di addestrare le centinaia di neonazisti che compongono diversi battaglioni pro-Kiev impegnati in Donbass contro i separatisti filorussi, sta imbarazzando e non poco Washington, sempre pronta a schivare pesanti sospetti. Tanto che giovedì, pressato dai giornalisti, John Kirby, uno dei portavoce del Dipartimento di Stato Usa, ha preferito glissare, rilasciando una dichiarazione piuttosto vaga: «Abbiamo letto questi rapporti e abbiamo condotto dei colloqui con le autorità ucraine sulla composizione dei battaglioni di volontari. Naturalmente possiamo solo offrire suggerimenti per quanto riguarda la gestione di queste forze». Le forze in questione sono battaglioni composti da estremisti islamici ceceni, giunti sulla linea del fronte per supportare Kiev nella guerra contro i separatisti filorussi, che da quasi un anno e mezzo sta dilaniando la parte orientale dell’Ucraina.

Martedì il New York Times ha dedicato un lungo e interessante articolo alla questione, sottolineando come la presenza di questi elementi sia sempre più costante e numerosa. Anche per gli ucraini stessi, ha scritto Andrew E. Kramer sul prestigioso quotidiano statunitense, la comparsa di questi combattenti islamici, soprattutto ceceni, si presenta come una sorpresa, ma per molti di loro è qualcosa di benvenuto. «Ci piace combattere i russi – ha detto al giornalista un guerrigliero intervistato sotto la garanzia dell’anonimato- noi li abbiamo sempre combattuti». Lui, si legge nell’articolo, comanda uno dei tre battaglioni di volontari islamici di circa trenta unità impegnati nella lotta in est Ucraina. Queste unità vengono distribuite nelle zone più calde del conflitto.

Temendo un escalation degli scontri nei prossimi mesi, infatti, gli ucraini accolgono con piacere tutto l’aiuto che ricevono. Kiev, lasciata militarmente sola dall’occidente, deve far fronte a un esercito corrotto e senza fondi, munito di attrezzatture in gran parte obsolete e inefficaci. «Io sono in questa situazione da 24 anni – dice ancora il guerrigliero ceceno al giornalista del New York Times – la guerra per noi non è mai finita». E’ Mariupol, città portuale strategica a un centinaio di kilometri da Donetsk, la città che conta la maggiore presenza di questi combattenti. «La sua difesa è stata affidata a un assortimento composto da militanti di estrema destra e milizie islamiche».

Il comando ceceno chiamato “sceicco Mansur”, che prende il nome da una figura della resistenza cecena del diciottesimo secolo, è subordinato al battaglione ultranazionalista del Pravij Sektor, accusato da molti di essere un covo di neonazisti. «Né il gruppo “sceicco Mansur” né il Pravij Sektor – scrive Kramer - sono incorporati nella polizia o nell’esercito, e le autorità ucraine si rifiutano di dire quanti ceceni combattono in Ucraina orientale. Sono tutti pagati. Oltre ad un nemico, questi gruppi non hanno molto in comune con gli ucraini e, se è per questo, nemmeno con gli alleati occidentali dell’Ucraina, compresi gli Stati Uniti».

I ceceni sono considerati soldati di valore. I comandanti dell’esercito regolare ucraino li tratterebbero addirittura come “celebrità” per la loro abilità di esploratori e cecchini, ma anche per la capacità unica nelle imboscate e nei raid. E ci sarebbe stato persino un accordo tra Isa Musayev, uno dei pioneri ceceni qui in Donbass, ucciso lo scorso febbraio, e il governo ucraino. Di documenti scritti, però, nemmeno a parlarne. Non tutti sembrano convinti della bontà di questa opzione. Le autorità francesi tempo fa hanno arrestato due membri del battaglione “sceicco Mansur”, accusandoli di appartenere alle file dello Stato Islamico. Che sia vero o no, non si è ancora riusciti a capirlo in maniera definitiva, ma il sospetto di infiltrazioni da parte di militanti dell’Isis è molto forte. Ma non è tanto questo a stupire, piuttosto il silenzio sempre più profondo e più imbarazzante dell’occidente, che ha scelto la via più facile e veloce a un problema che potrebbe ritorcersi presto contro. Quella dell’indifferenza.

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