Joseph Stiglitz: "Gli Usa dalla parte sbagliata della storia"


La crescente importanza economica dei paesi in via di sviluppo e dei mercati emergenti richiede un cambiamento nell'architettura internazionale affinché questa funzioni "anche per i per i poveri". L'egemonia di un gruppo di paesi guidati dagli Stati Uniti d'America è il principale ostacolo per questa trasformazione. "L'egemonia degli Stati Uniti è il più grande ostacolo allo sviluppo globale", è il parere del premio Nobel per l'economia Joseph Stiglitz (2001),

Da Project Syndicate

La terza conferenza internazionale sui finanziamenti per lo sviluppo si è recentemente svolta nella capitale dell’Etiopia, Addis Ababa. La conferenza è arrivata in un momento in cui i Paesi in via di sviluppo e i mercati emergenti hanno dimostrato la propria capacità di assorbire ingenti quantità di denaro in modo produttivo. Di fatto, i passi che stanno compiendo questi Paesi – investire in infrastrutture (strade, elettricità, porti e tanto altro), costruire città che un giorno daranno dimora a miliardi di persone e passare a un’economia green – sono davvero enormi.
Allo stesso tempo, non c’è una carenza di denaro in attesa di essere destinato ad uso produttivo. Solo alcuni anni fa, Ben Bernanke, allora presidente della Federal Reserve americana, parlava di un eccesso di risparmi globali. Eppure i progetti di investimento con elevati rendimenti sociali venivano privati dei fondi. E ancora oggi funziona così. Il problema, allora come oggi, è che i mercati finanziari del mondo, che dovrebbero mediare in modo efficiente tra risparmi e opportunità di investimento, al contrario allocano in modo errato il capitale e creano rischio.
E il fatto ironico è anche un altro. Gran parte dei progetti di investimento di cui necessita il mondo emergente è a lungo termine, così come molti dei risparmi disponibili – i trilioni nei conti pensionistici, nei fondi pensione e nei fondi sovrani. Ma i nostri mercati finanziari sempre più miopi stanno nel mezzo.
Molte cose sono cambiate nei 13 anni successivi alla prima Conferenza internazionale sui finanziamenti per lo sviluppo tenutasi a Monterrey, in Messico, nel 2002. Allora il G-7 dominava la politica economica globale; oggi, è la Cina l’economia più grande del mondo (in termini di parità di potere di acquisto), dove i risparmi sono il 50% in più di quelli degli Usa. Nel 2002, le istituzioni finanziarie occidentali si credevano dei maghi a gestire il rischio e allocare capitale; oggi, sappiamo che sono dei maghi a manipolare il mercato e ad attuare altre pratiche ingannevoli.
Ormai sono passate le richieste fatte ai Paesi sviluppati di onorare il proprio impegno di concedere almeno lo 0,7% del RNL in aiuti per lo sviluppo. Alcuni Paesi del Nord Europa – Danimarca, Lussemburgo, Norvegia, Svezia e, a sorpresa, il Regno Unito – nel pieno dell’austerità auto-inflittasi – hanno mantenuto le promesse nel 2014. Ma gli Stati Uniti (che hanno dato lo 0,19% del RNL nel 2014) rimangono molto molto indietro.
Oggi, i Paesi in via di sviluppo e i mercati emergenti dicono agli Usa e ad altri: se non manterrete le vostre promesse, almeno non siate d’intralcio e lasciateci creare un’architettura internazionale per un’economia globale che funzioni anche per i poveri. Non sorprende il fatto che le egemonie esistenti, guidate dagli Usa, stiano facendo tutto il possibile per contrastare tali sforzi. Quando la Cina propose la Banca asiatica per gli investimenti nelle infrastrutture allo scopo di contribuire a riciclare parte dell’eccesso di risparmi globali laddove i finanziamenti sono fortemente necessari, gli Usa tentarono di respingere quest’iniziativa. L’amministrazione del presidente Barack Obama subì però un’amara (e alquanto imbarazzante) sconfitta.
Gli Usa stanno anche bloccando il passaggio del mondo verso uno stato di diritto internazionale per il debito e la finanza. Se i mercati obbligazionari, ad esempio, devono funzionare bene, bisogna trovare un modo ordinato per risolvere i casi di insolvenza sovrana. Che ad oggi ancora non esiste. L’Ucraina, la Grecia e l’Argentina sono tutti esempi del fallimento dei vigenti accordi internazionali. La maggioranza dei Paesi ha invocato un quadro d’azione per la ristrutturazione del debito sovrano. Gli Usa restano l’ostacolo maggiore.
Anche gli investimenti privati sono importanti, ma le nuove disposizioni sugli investimenti previste negli accordi commerciali in fase di negoziazione da parte dell’amministrazione Obama implicano che accanto agli investimenti diretti esteri vi sia una riduzione delle capacità dei governi di regolamentare l’ambiente, la sanità, le condizioni di lavoro, e persino l’economia.
La posizione degli Usa sulla parte più controversa della conferenza di Addis Ababa è stata particolarmente deludente. Dal momento che i Paesi in via di sviluppo e i mercati emergenti si sono aperti alle multinazionali, è diventato sempre più importante poter tassare questi colossi sui profitti generati dall’attività che rientrano nei loro confini. Apple, Google e General Electric sono stati bravissimi ad evitare le tasse che superano quanto da loro impiegato nel creare prodotti innovativi.
Tutti i Paesi – sia sviluppati che in via di sviluppo – hanno perso miliardi di dollari in gettito fiscale. Lo scorso anno, il Consorzio internazionale di giornalisti investigativi ha rilasciato un’informativa sui regimi fiscali del Lussemburgo e sulla portata dell’evasione e dell’elusione fiscale. Mentre un Paese ricco come gli Usa può permettersi la condotta descritta nel cosiddetto Luxembourg Leaks, i Paesi poveri no.
Sono stato membro di una commissione internazionale, l’Independent Commission for the Reform of International Corporate Taxation, che esamina le modalità con cui poter riformare l’attuale sistema fiscale. In un report presentato alla Conferenza internazionale sui finanziamenti per lo sviluppo, abbiamo convenuto all’unanime che l’attuale sistema è corrotto, e che piccole modifiche non risolveranno il problema. Abbiamo proposto un’alternativa – simile alla procedura con cui le società vengono tassate all’interno degli Usa, con i profitti allocati in ciascuno stato sulla base dell’attività economica che avviene all’interno dei confini statali.
Gli Usa e gli altri Paesi avanzati stanno spingendo per ottenere modifiche più esigue, raccomandate dall’Ocse, il club dei Paesi avanzati. In altre parole, i Paesi da cui derivano gli evasori ed elusori fiscali politicamente influenti vorrebbero ideare un sistema per ridurre l’evasione fiscale. La nostra Commissione spiega perché le riforme dell’Ocse sono perlopiù piccole modifiche in un sistema sostanzialmente difettoso e perché sono semplicemente inadeguate.
Secondo i Paesi in via di sviluppo e i mercati emergenti, guidati dall’India, un forum adeguato per discutere di queste tematiche globali poteva essere un gruppo già esistente all’interno delle Nazioni Unite, la Committee of Experts on International Cooperation in Tax Matters, i cui finanziamenti e status andavano aumentati. Gli Usa vi si sono fortemente opposti: intendevano mantenere le cose come in passato, con la governance globale in mano e a favore dei Paesi avanzati.
Le nuove realtà geopolitiche richiedono nuove forme di governance globale e che sia data una voce maggiore ai Paesi emergenti e in via di sviluppo. Gli Usa avranno anche prevalso ad Addis, ma si sono dimostrati dalla parte sbagliata della storia.
Traduzione di Simona Polverino

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