Perché in occidente non si versa una lacrima per le vittime russe del disastro aereo?

 
Sulla maggiore tragedia aerea nella storia della Russia, i media nostrani, e occidentali in generale, mostrano per l'ennesima volta il lato oscuro della propaganda. Ricordate come l'informazione speculava sui disastri aerei intercorsi negli ultimi anni? Prime pagine, trasmissioni intere sulle famiglie distrutte, sui ricordi strazianti delle vitttime, le ultime telefonate e l'ultima lettera alla figlia prima di partire. Per le vittime russe, in occidente non si hanno lacrime da versare. Fa eccezione un editoriale molto bello di Fulvio Scaglione su Famiglia Cristiana, una lezione di giornalismo da condividere e far girare.
 
 
 
Per una settimana quasi tutti i media occidentali, ritrosi come giovinette, han fatto di tutto per non parlare di terrorismo islamico. Anche se c'era la rivendicazione dell'Isis. Anche se le compagnie aeree (fatto significativo: per prime quelle delle monarchie del Golfo) annunciavano di aver sospeso i voli su quella rotta. Anche se i voli russi verso le spiagge dell'Egitto sono frequentissimi e non si era mai avuto notizia di problemi o incidenti.
 
Poi è arrivato il via libera americano: è stata una bomba, hanno detto i servizi segreti Usa, a far precipitare sul Sinai il jet con 224 turisti russi a bordo. Annuncio accompagnato da altre rinunce: inglesi e irlandesi hanno smesso di volare su quei cieli, e anche Easyjet si è tirata indietro. A quel punto, persino la libera stampa del mondo libero si è fatta avanti: forse è stato un attentato, dicono i giornali. Bravi, sette più.
 
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La ragione è evidente: delegittimare la Russia, toglierle qualunque forma di riconoscimento internazionale, negare fino al ridicolo che potesse/possa avere un ruolo all'interno di una battaglia comune con l'Occidente. Ovvero, lasciare mano libera agli Usa in quella sorta di perenne e crudele esperimento sociologico che conducono in Medio Oriente e che, da George Bush a Obama, ha un unico esito: frammentare dove c'era unità (Iraq, Siria, Libia...), impoverire dove c'era un decente tenore di vita, rendere ancora più netti i contrasti tra religioni, etnie, popoli. Questa è la politica che, tra l'altro, rischia di portare all'estinzione le comunità cristiane del Medio Oriente. Comunità che, tra le altre cose, facevano da collante culturale e sociale a quei Paesi prima in qualche modo uniti e ora avviati verso una divisione di fatto (Iraq, Libia) o addirittura perseguita e auspicata come in Siria. 

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