Tonfo Poroshenko: prende Kiev ma perde tutte le altre città


di Eugenio Cipolla


L’ufficialità della vittoria di Vitaly Klitschko è arrivata nel momento più difficile per Petro Poroshenko. Perché la guerra in Donbass, dopo alcuni mesi di tregua vera, sembra riesplodere sotto i colpi di mortaio delle due parti contrapposte. In est Ucraina, nelle ultime 24 ore, sono stati 5 i soldati dell’esercito di Kiev uccisi durante gli scontri con i separatisti filorussi, i quali, a loro volta, denunciano perdite e accusano di essere in maniera costante sotto il tiro degli uomini dell’esercito regolare.
A Kiev l’ex pugile, dopo un primo turno francamente deludente, è riuscito a confermarsi al ballottaggio con il 65,5% dei voti, contro il 32,8% dell’avversario. Un “ma” d’obbligo, però, c’è tutto. Il voto, costellato da proteste e contestazioni, ha registrato un’affluenza bassissima, che resterà negli annali della storia ucraina. Solo il 25% degli aventi diritti, infatti, si è recato alle urne per scegliere il sindaco della capitale. Politicamente per Poroshenko, la vittoria di Klitschko rappresenta una boccata d’aria, ma non cancella però quella che molti considerano una vera e propria batosta elettorale. A parte la capitale, i partiti che fanno parte della coalizione di governo hanno perso molte città, lasciandole in mano a un’opposizione mai così forte dalla caduta di Yanukovich ad oggi.
Già quindici giorni fa, i risultati delle votazioni erano stati pesanti. A Kharkiv, seconda città del paese al confine con la Russia, era stato eletto sindaco Gennady Kernes, ex alleato di Viktor Yanukovich e ora sostenuto dall’oligarca Igor Kolomoisky. Ieri è stato il turno di Dnipropetrovsk, altro snodo industriale dell’est Ucraina, dove la sfida era tra Boris Filatov, vicinissimo a Kolomoisky, e Olexandr Vilkul, uomo di un altro oligarca, Rinat Akhmetov. Le votazioni hanno sancito la vittoria del primo, rafforzando ulteriormente Kolomoisky. Dall’altra parte del paese, sui Carpazi, per la precisione a Leopoli, si è confermato Andrei Sadovy, leader di Samopomich, che con la sua rielezione si prepara a sfidare Poroshenko in vista delle prossime elezioni presidenziali.
Chi non ha avuto alcun ruolo in queste votazioni è stato il Fronte Popolare del premier Yatsenyuk. Ridotto a percentuali da prefisso telefonico, il partito non si è presentato in nessuna città per evitare la conta. Nelle scorse settimane il primo ministro ha addirittura minacciato di passare all’opposizione e raggiungere il nazionalista Oleg Lyashko, passato dall’altra parte della barricata già da diversi mesi. Nelle prossime settimane il governo Yatsenyuk dovrà compiere dei veri e propri miracoli per cercare di rimanere a galla. Ufficialmente è previsto un corposo rimpasto dell’esecutivo, ma in molti prevedono che non arriverà alla fine dell’anno, lasciando spazio a Natalia Yaresko, Yulia Timoshenko e Mikhail Saakashvili.
La prova del nove si avrà a dicembre, quando la Rada sarà chiamata a votare le modifiche alla Costituzione e la legge sull’autonomia del Donbass, già rimandata qualche mese fa per la mancanza dei due terzi del Parlamento dopo la fuoriuscita di Sadovy e Lyashko. A tutto questo si aggiunge la situazione economica, sempre più difficile da affrontare per la popolazione. Nel primo semestre dell’anno il Pil del paese è crollato del 15,8%, mezzo punto in più del record segnato durante la crisi del 2009 e le previsioni per l’anno in corso segnano un meno 9%. Il paese attualmente si trova sotto l’egida del Fondo Monetario Internazionale, al quale si è affidato con un programma di salvataggio da 40 miliardi di dollari in quattro anni. Le incertezze per il futuro sono tante. Cruciale sarà la risoluzione della controversia con la Russia sul debito da 3 miliardi di dollari che Kiev ha nei confronti di Mosca. L’Ucraina vorrebbe una ristrutturazione del debito, ma i ministri di Putin si sono detti determinati a non cedere ad alcuna richiesta in tal senso.
Intanto il prossimo 19 e 20 novembre Petro Poroshenko sarà in Italia in visita di Stato. Il capo di Stato ucraino incontrerà il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, e il premier Matteo Renzi. Secondo fonti diplomatiche dovrebbe esserci anche un incontro con Papa Francesco, per ora non confermato ufficialmente dalla Santa Sede.

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