La Francia si consegna ai neocon: è il trionfo dell'Isis?


Su gentile concessione di Piccole Note

Nel primo articolo sui tragici eventi parigini avevamo accennato alle similitudini tra l’esfiltrazione dalla Stade de France di Franςois Hollande e quella di George W. Bush nel post 11 settembre, paventando un sequel di quel che accadde allora, ovvero la caduta del Paese nelle mani dei neocon.
E così è stato. Il discorso alla nazione pronunciato ieri da Hollande ha riecheggiato quello di George W. Bush: chiamata alla guerra dell’Europa in base all’articolo 42 del Trattato dell’Unione, Patriot Act in salsa francese, stato di emergenza prolungato per altri tre mesi, riforma costituzionale volta a delimitare le libertà democratiche e via dicendo.
Come allora Bush era stato aggiogato dai suoi falchi, così Hollande si è consegnato nelle mani dei dioscuri neocon transalpini: Manuel Valls (Primo ministro) e Laurent Fabius (ministro degli Esteri).
Era proprio quel che l’Isis voleva: trascinare la Francia in una guerra dai contorni indefiniti e generalizzati. La voleva costringere a baciare il diavolo, come recita il titolo della canzone sulle cui note è avvenuta la strage al Bataclan.
Allora le cose non andarono granché bene: le guerre neocon, con le loro ambiguità e la loro sconsideratezza, hanno provocato i disastri che sono sotto gli occhi di tutti, alimentando ancora di più il terrorismo.
E oggi come allora i proclami di guerra transalpini non sono immuni da ben note ambiguità. Le ha sottolineate Alain Touraine sul Corriere della Sera di oggi: «È strano come un uomo di esperienza come Fabius abbia indugiato nell’equivoco “né con l’Isis né con Assad”. Assad non ci ha attaccati: lo Stato islamico sì».
Se l’Isis non è stato ancora battuto, ha chiosato Sergio Romano in una lettera pubblicata sul Corriere di oggi, «la responsabilità è di coloro che si oppongono alla nascita di un fronte comune in cui tutti i nemici dell’Isis, dal presidente siriano al presidente russo, possano fare la loro parte».
Insomma, lo strano errore di Fabius non fa ben sperare.
Già, perché il problema non è il contrasto militare all’Agenzia del terrore, che pure è indispensabile, ma come si andrà a sviluppare. L’unica strada è quella suggerita da Romano, richiesta più volte da Mosca e più volte rifiutata dall’Occidente: ricercare un consenso allargato alla Russia e a tutte le forze lo stanno combattendo e innestare un processo di stabilizzazione della Siria coinvolgendo Assad.
L’altra strada, egualmente importante, è quella di contrastare i flussi finanziari che alimentano la macchina del terrore (ieri Putin ha illustrato al G20 i tanti finanziatori della nota Agenzia, tra i quali diversi membri dello stesso G20: sarebbe utile se queste carte girassero, ma nessuno le ha pubblicate, se non in minima parte…).
Ma quanto sta accadendo in Francia non fa ben sperare.
Chiudiamo ricordando la guerra in Libia: allora fu proprio la Francia del bellicoso Sarkozy (e la Clinton) a costringere il riluttante Obama a un’avventura della quale ancora paghiamo le conseguenze.
Ad oggi il presidente degli Stati Uniti resiste alle pressioni dei falchi Usa (come accenna Vittorio Zucconi sulla Repubblica) che chiedono un surge militare in Iraq e Siria: un vasto fronte che va dai repubblicani fino, ancora una volta, alla Clinton.
Ma in caso di nuove operazioni “Made in Isis” Obama potrebbe essere costretto a cedere, trascinando Stati Uniti ed Europa, come avvenne allora, in un’avventura bellica dai contorni indefiniti quanto disastrosi. Che potrebbe comportare, dati gli interessi specifici e le strategie contrastanti riguardo il contrasto del terrorismo, anche un confronto più vasto tra Occidente e Russia.
Lo sa l’Isis, Lo sanno, anche se fanno finta di non saperlo, i falchi americani e francesi.

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