Gli esplosivi usati nelle stragi di Parigi provenivano da un deposito militare francese?


di Paolo Becchi* e Cesare Sacchetti
Le notizie e i differenti resoconti che giungono sui drammatici eventi di Parigi, ancora non consentono di avere una cornice chiara e delineata degli eventi che hanno portato alle stragi del venerdì scorso. Le autorità sostengono che l’indiziato Abdelhamid Abaaoud, è da ritenersi responsabile per aver architettato gli attentati eseguiti da otto uomini arruolati nelle fila dell’ISIS. Stando alla ricostruzione ufficiale delle autorità francesi, gli otto uomini hanno agito di concerto in sette distinti scenari della città, e dopo aver aperto il fuoco indiscriminatamente su chiunque fosse a tiro, si sono fatti esplodere. Prima di avere più elementi a disposizione per poter capire effettivamente qual è stato il piano operativo messo in atto dai terroristi, c’è un aspetto anomalo sulla capacità di armamento a disposizione dei terroristi.

Da quel che è stato reso noto, il commando degli otto disponeva di AK-47 ed esplosivi da guerra usati in teatri di bellici.

Chi ha armato dunque la frangia dell’ISIS? Le armi provenivano da fuori oppure i terroristi se le erano procurate in Francia grazie a qualche entratura negli apparati militari francesi? A tal proposito è al vaglio degli inquirenti una circostanza che se confermata, getterebbe ombre inquietanti sulla trasparenza della Difesa francese.

Armi da guerra rubate in un deposito militare

Nella notte del 5 luglio scorso, avviene uno strano furto di armi da guerra in un deposito militare nella città di Miramas, distante circa 60 km da Marsiglia. I ladri, dopo essersi introdotti senza particolari difficoltà, in quell’occasione prelevano esplosivo al plastico, 180 detonatori e 40 granate. Secondo gli investigatori, chi ha organizzato la rapina, doveva appartenere alle forze armate oppure esserne stato parte, dal momento che i ladri hanno dimostrato una perfetta conoscenza del posto e sono andati a colpo sicuro. Dopo aver reciso la rete di protezione del deposito, si sono infiltrati con estrema facilità e hanno prelevato le armi. A rendere ancora più sensazionale il furto, è il luogo prescelto come obbiettivo, ovvero un deposito di armi utilizzato per le operazioni di guerra in Africa.

Un sito quindi sensibile che richiedeva senz’altro una presente e continua sorveglianza. Il sindaco di Miramas, si dichiarò sconvolto dall’evento e incredulo di come non fosse stata presente in quel momento la vigilanza: "siamo scioccati. Questo è un sito militare altamente sicuro e ben sorvegliato da pattuglie. La polizia militare e la gendarmeria stanno adesso effettuando i dovuti controlli, al fine di determinare esattamente ciò che manca, quello che è successo e chi è responsabile." Nonostante questo, nessuno all’epoca sembrò dare troppa importanza al fatto e un portavoce del Ministero della Difesa rifiutò persino di commentare l’accaduto.

Al momento si sta cercando di fare luce su quest’episodio che potrebbe essere la pista che conduce agli esplosivi del 13 novembre. All’epoca del fatto, venne anche rinvenuta una bomba inesplosa in un fabbricato industriale, e gli inquirenti accostarono il tipo di esplosivo usato per la fabbricazione di quella bomba a quello trafugato nel deposito di Miramas. L’intelligence francese era perfettamente al corrente del concreto rischio di un attentato nella città di Parigi, e lo credeva solamente una questione di tempo. Se quest’ipotesi dovesse essere confermata, ne conseguirebbero una serie di rilevanti questioni:

Come facevano i terroristi a conoscere l’ubicazione di un deposito militare destinato alle operazioni da guerra in Africa? Perché la notte del furto non c’era nessuna sorveglianza a quell’obbiettivo così sensibile? Perché i servizi segreti francesi, dopo le circostanze che hanno portato al ritrovamento di una bomba inesplosa, non hanno intensificato i controlli sui potenziali sospettati?


Il Ministro Cazeneuve impose il segreto di Stato sull’inchiesta del Hyper Cacher

Anche per l’attacco del gennaio scorso, si cercò di capire da dove provenissero le armi dei terroristi. E’ da questa pista che partirono i due giudici istruttori di Lille, Stanislas Sandraps e Richard Foltzer, ai quali fu assegnata l’inchiesta sull’attentato parallelo alla strage presso la sede di Charlie Hebdo, avvenuto il 7 gennaio scorso al Hypercacher di Saint Vincennes, e realizzato da Amedy Coulibaly con due pistole Tokarev, un AK-47, e un mitra Skorpion 61. I giudici istruttori del Tribunale di Lille stavano conducendo un’inchiesta per risalire alla provenienza delle armi di Coulibaly, ed emisero il 10 aprile 2015 una richiesta di declassificazione di documenti riservati del ministero dell’Interno francese, nei quali sarebbero contenuti importanti riferimenti al traffico di armi clandestino.
La decisione fu presa personalmente dal ministro Cazeneuve, che rifiutò di mostrare i documenti per impedire che tali informazioni mettessero a repentaglio la sicurezza dello Stato francese. In qualche modo dunque, la scoperta del traffico di armi clandestino che avrebbe armato la mano di Coulibaly era collegata alla sicurezza della Francia. La notizia fu riportata a suo tempo dal sito Mediapart che riportava un coinvolgimento della gendarmeria di Lille in questo traffico:” Alcuni gendarmi di Lille e dei loro informatori erano al centro di un traffico d'armi che ha contribuito ad alimentare Amedy Coulibaly, autore dell'attacco all’Hypercacher di Saint Vincennes. Se non hanno saputo nulla sulla destinazione delle armi,sembrano aver lasciato andare gli acquirenti o perduto le loro tracce. La loro posizione è particolarmente delicata perché si trincerano dietro il segreto militare”. Anche in questa circostanza dunque appare esserci una zona grigia, di contiguità tra le massime istituzioni francesi e quel sottobosco clandestino che rifornisce di armi i terroristi.

Quale segreto militare di Stato può celarsi dietro il traffico di armi ai gruppi terroristici? Perché il ministro Cazeneuve, se le sue intenzioni sono quelle di abbattere lo Stato Islamico, non declassifica i documenti che potrebbero portare all’identificazione dei fornitori d’armi dei terroristi?

L’intelligence francese sapeva
La Francia era nel mirino, su questo non esisteva il minimo dubbio in proposito. A non convincere sono gli aspetti che hanno portato all’ultimo eccidio, dopo che la tutela della sicurezza nazionale era stato portata al massima livello solamente una settimana prima degli attacchi. Una decisione che era stata presa in occasione del vertice mondiale sul clima che inizia il prossimo 30 novembre nella capitale francese. A destare stupore, oltre al modus operandi anomalo per un terrorista radicale, che genericamente non colpisce a caso tra la folla, è l’estrema facilità con cui questi individui si sono mossi negli arrondissement parigini senza che le autorità francesi riuscissero in qualche modo a prevenire una minaccia di tali proporzioni.

Non si dimentichi che questo è il quarto attentato consecutivo in un anno che la Francia subisce e ognuno di questi attacchi ha come matrice l’islam radicale: il primo attentato avviene nella sede della rivista Charlie Hebdo nel gennaio 2015; il secondo attacco è contro la fabbrica di Saint-Quentin-Fallavier ad opera di Yassine Salhi che dopo aver decapitato il suo datore di lavoro, Hervé Cornara ha lanciato il suo furgone contro delle bombole di gas nella fabbrica di Saint-Quentin-Fallavier, provocando un’esplosione e due feriti; il terzo fallito agguato è avvenuto sul treno di Thalys diretto a Parigi, sventato grazie all’intervento di tre marines americani che hanno impedito ad Ayoub El Khazzani di aprire il fuoco contro i passeggeri del treno. Esiste forse una area grigia di contiguità tra le frange del terrorismo radicale e i servizi di sicurezza francesi, che difettano clamorosamente nella prevenzione di attentati così eclatanti? Prima di lanciare qualsiasi crociata, il presidente Hollande dovrebbe cercare di dare delle risposte ai suoi cittadini sulla solidità dei suoi apparati di intelligence.

* Paolo Becchi, Professore ordinario di Filosofia del diritto all'Università di Genova
Cesare Sacchetti, esperto di questioni europee. Scrive per il Fatto Quotidiano

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