L’Arabia Saudita continua a bombardare lo Yemen. Anche con le bombe italiane


"Un attacco aereo condotto dalla coalizione guidata dall’Arabia Saudita ha colpito una clinica gestita da MSF, nello Yemen meridionale, ferendo nove persone, comprese due membri dell’équipe di MSF.
Secondo fonti locali, alle ore 11.20 del 2 dicembre, tre attacchi aerei hanno colpito un parco nel distretto di Al Houban, nella città di Taiz, a 2 km dalla clinica di MSF. L’équipe di MSF ha immediatamente evacuato la clinica e informato la coalizione che i loro aerei stavano sferrando un attacco nei pressi dell’ospedale. La stessa clinica è finita sotto attacco. I feriti, due dei quali in condizioni critiche, sono stati trasferiti negli ospedali di Al Qaidah e Al Resalah. MSF supporta i due ospedali nel trattamento dei feriti di guerra.

Da due mesi la clinica ad Al Houban, realizzata da MSF in una tensostruttura, forniva cure mediche d’emergenza alle persone sfollate a causa del recente conflitto. La coalizione guidata dall’Arabia Saudita era stata informata sulla posizione esatta e sulle attività portate avanti da MSF ad Al Houban"
, si legge sul sito di MSF.

Non è il primo incidente di questo tipo.

La coalizione a guida Arabia Saudita aveva aggiunto un nuovo crimine di guerra e contro l'umanità al suo invidiabile palmares in Yemen lo scordo 26 ottobre, bombardando una struttura di MSF a Sadaa. Anche in quel caso, sostiene l'ONG, la coalizione a guida saudita conosceva le coordinate GPS.

Ora, si legge su Famiglia Cristiana, "il Governo italiano dovrebbe rispondere a una semplice domanda: fino a quando bombe made in Italy continueranno a partire dall’Italia per rifornire l’aviazione saudita? Vengono prodotte in Sardegna e portate nel Golfo con voli dall’aeroporto di Cagliari.
Il ministro della Difesa Roberta Pinotti ha detto più volte: «È tutto regolare…», «Non sono ordigni italiani…», «Si tratta solo di transito…». Le armi sono prodotte dalla società Rwm Italia spa, iscritta al Registro delle imprese di Brescia con sede a Ghedi (BS) e stabilimento a Domusnovas (ex Sei, Sarda Esplosivi Industriali), provincia di Carbonia e Iglesias, di proprietà dell'azienda tedesca Rheinmetall.
«Gli ordigni», spiega Giorgio Beretta dell’Osservatorio Opal, «fanno parte della commessa da 62,3 milioni di euro per 3.950 bombe Mk83 autorizzata dal Governo italiano nel 2013, insieme alla vendita di 985 bombe Paveway IV sempre della Rwm Italia per 5,9 milioni, anche queste già consegnate. Nel 2014 la stessa ditta è stata autorizzata a vendere altre 1.260 Paveway per 15,2 milioni e 209 bombe Blu109 per 3 milioni, quasi tutte ancora da consegnare». L’assunzione di responsabilità della ministra Pinotti potrebbe far invidia a Ponzio Pilato.

E' SAGGIO IN EPOCA DI TERRORISMO RIFORNIRE DI ARMI L'ARABIA SAUDITA?
Inviare bombe a un Paese che le usa per un conflitto in cui si uccidono tre bambini al giorno è sbagliato per un cristiano («Maledetti coloro che operano per la guerra e le armi» dice il Papa) e illegale per le leggi italiane.
Ma, in tempi di guerra al terrorismo, converrebbe anche chiedersi se è “utile” rifornire di armi il Medio Oriente (nel quinquennio 2010-2014 la meta principale del made in Italy che spara) e l’Arabia Saudita, che negli ultimi dieci anni ha aumentato del 156% le spese militari. Già il 7 ottobre 2014, in un’intervista alla Cnn che scatenò un caso diplomatico, alla domanda aveva risposto il vicepresidente statunitense Joe Biden, dicendo: «Il nostro più grande problema sono i nostri alleati in Medio Oriente. Hanno riversato centinaia di milioni di dollari e migliaia di tonnellate di armi su chiunque combattesse contro Assad, a parte il fatto che le persone rifornite erano elementi di Al-Nusra, al-Qaeda e estremisti jihadisti provenienti da altre parti del mondo».
L’amicizia dell’Italia e dell’Occidente con la monarchia saudita, primo estrattore al mondo di greggio, è storica. All’inizio degli anni Settanta ha messo al riparo dalla crisi petrolifera del 1973. E dalla fine dello stesso decennio, l’asse con i sunniti è stato funzionale a contrastare l’Iran sciita dopo la rivoluzione khomeinista del 1979. In cambio, l’impunità nel finanziamento al terrorismo e di diritti umani. L’algerino Kamel Daoud ha scritto sul New York Times: «Il gruppo Stato islamico ha una madre: l’invasione dell’Iraq. Ma anche un padre: l’Arabia Saudita e la sua industria ideologica».

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