Il declino di Poroshenko: doveva cambiare l’Ucraina, ma ora rischia di cadere


di Eugenio Cipolla


Alcuni lo descrivono come un leader ferito, chiuso nel bunker della Bankova in attesa di conoscere il proprio destino. Altri riferiscono di un uomo stanco, forse addirittura malato (da sempre soffre di diabete), incapace di reggere una situazione che con il passare delle settimane si fa sempre più difficile. Sta di fatto che per Petro Poroshenko la situazione non è delle più rosee. Gli ultimi sondaggi dell’Istituto Internazionale di Sociologia di Kiev arrivati sulla sua scrivania fotografano una realtà politica sempre più decadente. Il 66% degli ucraini crede che il presidente ucraino debba dimettersi in relazione allo scandalo dei Panama Papers, dove è stato rivelato come Poroshenko abbiamo creato delle società off-shore per ottenere indubbi vantaggi fiscali per la sua Roshen.
Dall’entourage del presidente ucraino hanno sempre negato, bollando il racconto del Consorzio Internazionale di giornalismo investigativo come pura fantasia. Ad ogni modo, se si votasse domenica, per Poroshenko sarebbe un bagno di sangue. Le ultime rilevazioni sulle intenzioni di voto dicono che alle urne l’attuale leadership vedrebbe diminuire di cinque volte i propri voti, passando dal 54,7% ricevuti nel maggio 2014 a un decisamente più modesto 13,5%. Primo partito si conferma quello di Yulia Tymoshenko, Patria, che si attesterebbe a un buon 21%. Subito dopo con il 14,6% ci sarebbe il Partito Radicale di Oleg Lyashko.
Dietro a questo crollo verticale, secondo gli analisti ucraini, ci sono diversi fattori. La crisi economica e il programma del FMI hanno senza dubbio fatto la propria parte, ma a pesare sono state anche le decine di promesse elettorali mancate. Subito dopo la sua vittoria, il capo di Roshen aveva detto che l’operazione militare in Donbass non sarebbe durata per più di due o tre mesi, ma a due anni di distanza si continuano a contare morti sia tra i militari che tra i civili. La lista delle promesse non mantenute è lunga: il tema del decentramento, più volte sbandierato dopo gli accordi di Minsk-2, è rimasto poco più che uno slogan per rabbonire l’occidente, così come il regime senza visti con l’Unione Europea, che a detta del presidente sarebbe dovuto entrare in vigore dal 1° gennaio 2015, non è ancora realtà.
Per non parlare della vendita della sua Roshen, mai avvenuta, e della crescita smisurata della sua banca, Banca di Investimento Internazionale (MIB), che nell’ultimo biennio è balzata dal 78° al 32° posto nel ranking delle banche ucraine, riuscendo a tenere la maggior parte del proprio capitale in valuta estera. «Ognuno nella propria squadra fa il proprio gioco. Il vecchio sistema è sopravvissuto, nascondendosi dietro moderni slogan e cercando di costruire una nuova ideologia», ha detto il politologo Andrei Zoloratev, intervistato qualche giorno fa da “Vesti”. «Cambiano i segni, abbattono le statue, ma tutto rimane come prima». Per gli esperti questo potrebbe essere l’anno decisivo per la caduta di Poroshenko. Il presidente si troverà in una situazione complicata, con la perdita di potere, la mancanza di pace in Donbass e la crescita delle tariffe dei servizi. Tutti elementi che minacciano di destabilizzare il fragile equilibrio politico e sociale e che potrebbero far crollare i suoi consensi sotto il 10%.
Tra i commentatori politici si ragiona già sul dopo. I sondaggi parlano abbastanza chiaro. Il prossimo presidente sarà sicuramente donna, anti-russa e con un passato di sofferenza, ingiustizie e carcere. Il tutto farebbe pensare a Yulia Tymoshenko, ma negli ultimi giorni un’altra ingombrante figura potrebbe prendere il suo posto, producendo l’ennesimo colpo di teatro della politica ucraina: Nadia Savchenko. L’ex pilota militare, liberata la scorsa settimana, ha giurato oggi come membro del Parlamento e ha già promesso di impegnarsi per il futuro del proprio paese. In un intervista televisiva, Savchenko non ha escluso di poter guidare “Patria” nel caso in cui si presenti la necessità. «Se il partito avrà bisogno di me, ci sarò. E se il paese avrà bisogno che io sia presidente, beh, io sarò il presidente», ha affermato, aprendo nuovi e interessanti scenari.

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