Turchia: la stabilità vince sul caos




PICCOLE NOTE

Fallito il golpe in Turchia, nonostante nella lunga notte dei carri armati quasi tutti gli analisti e media italiani avevano dato Recep Tayyp Erdogan per spacciato. Un altro Ceaucescu, stavolta del Bosforo, era stato abbattuto.

Immagine funzionale alla narrazione che voleva in atto un “colpo di Stato democratico”, come avevano tentato di accreditare i militari che avevano parlato di azione in difesa dei diritti umani violati dal dittatore.

Narrazione in realtà alquanto bizzarra dato il metodo utilizzato, ma aveva fatto presa.

Ma cosa è successo davvero in Turchia? Riproponiamo la conclusione di un articolo scritto a fine giugno, nel quale accennavamo al cambio di linea di Erdogan, che si era riconciliato con la Russia dopo una lunga fase conflittuale (anche se con la prudenza, l’ambiguità e la tempistica del caso).

«Problema non ultimo per la tenuta di tale linea è che l’Occidente è in rotta con Putin e non ha alcuna intenzione di coordinare con Mosca i propri sforzi di contrasto al Terrore. Problema non da poco per la Turchia, membro della Nato. E per il mondo».

Già, la Nato. Immaginare che l’esercito turco si sia sollevato senza avere un qualche appoggio in questo ambito è alquanto irrealistico.
“Qualche” appoggio, ché le dinamiche del mondo sono fluide e magmatiche, e le linee di faglia attraversano organismi apparentemente unitari.

Certo, Erdogan ha accusato del golpe il suo eterno nemico Fetullah Gulen, co-fondatore del suo partito e oggi esule negli Usa, il quale con i suoi rapporti all’interno del Paese ha più volte creato problemi al sultano. Né poteva far diversamente.

Ma senza appoggi in ambito Nato non sarebbe stata possibile tale massiccia mobilitazione in un Paese come la Turchia, che del patto Atlantico rappresenta la prima linea in Medio oriente e sul fronte russo.

Ma anche la Nato non è monolitica e a un certo punto, quando le cose hanno iniziato a cambiare verso per i golpisti, ha preso posizione a favore di Erdogan, scaricando i fantaccini ribelli.

La prova di forza dei militari è avvenuta in un giorno delicatissimo: proprio ieri John Kerry era volato a Mosca ad offrire a Putin quel ramoscello d’ulivo a lungo auspicato da Mosca.

A tema il conflitto siriano, nodo gordiano della malmostosa situazione internazionale, e il contrasto al Terrore, che il giorno precedente aveva colpito ferocemente a Nizza. Ma anche altro.

Un giorno importante per il mondo, cruciale forse. Ma qualcuno ha tentato di rovesciare il banco.

Tentativo goffo, ma che poteva avere efficacia. Se pure non fosse riuscito, data l’improvvisazione, avrebbe potuto sprofondare nel caos la Turchia, già dilaniata da tensioni e conflitti e preda di spinte centrifughe.

Un’opzione B, quella del caos, che avrebbe alimentato al parossismo la destabilizzazione globale, quella che proprio l’incontro moscovita intendeva contrastare.

Ma proprio il fatto che Kerry si trovasse a Mosca ha evitato il peggio: da subito i convenuti, parlando a nome dei rispettivi Paesi, hanno auspicato il ritorno alla stabilità. E certo non si saranno limitati agli auspici.

A favorire tale esito anche l’isolamento politico dei “golpisti democratici”: non solo il partito nazionalista, ma anche quello curdo, duramente contrastato da Ankara, hanno rifiutato le interessate avance dei militari.

La «democrazia è l’unica via, lasciamo alle spalle l’epoca buia dei golpe», ha dichiarato infatti Selatthin Demirtas, leader carismatico dei curdi.

Il tentativo di golpe è fallito, ma sono ancora in corso operazioni di polizia. E ancora possibili sono i colpi di coda. I costruttori di caos non accettano facilmente le sconfitte.

Tante incognite pesano sul futuro della nazione, ma la notte di ieri potrebbe precludere a una nuova stagione. Foriera di sorprese.

Costretto a rimettere ordine in casa, Erdogan potrebbe rivedere a fondo il dossier siriano e quello iracheno, come e anche, sul fronte interno, quello curdo, che stanno dissanguando le risorse dello Stato. Vedremo nei prossimi giorni come evolverà la situazione.

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