Le sanzioni Ue non spaventano Putin: il suo consigliere non può entrare in Europa ma lui se lo porta lo stesso a Berlino

Alla fine quattro ore di vertice intenso tra Angela Merkel, Francois Hollande, Petro Poroshenko e Vladimir Putin non sono bastati a sciogliere i nodi sulla crisi ucraina. A un anno di distanza dall’ultimo incontro, possiamo dunque dire che sostanzialmente nulla è cambiato e nulla cambierà nei mesi avvenire. “Ci siamo accordati su una roadmap” verso una soluzione di pace, ha detto il presidente ucraino, citato dall’agenzia di stampa Tass. Il piano avrà come base l’accordo di pace di Minsk, ridotto a un simulacro al quale ispirarsi, ma mai veramente attuato. Entro fine novembre, ha aggiunto Poroshenko, i ministri degli Esteri di Russia, Ucraina, Francia e Germania avranno il compito di elaborare un documento congiunto, l’ennesimo, per definire la via più adatta al raggiungimento della pace. Oltre questo, secondo Poroshenko, la Germania ha anche proposto una missione internazionale di “polizia armata”, i quali dettagli dovranno essere discussi con l’Osce, l’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa.

Affermazione, quest’ultima, nettamente smentita qualche ora dopo da Angela Merkel, la quale, nel corso di una conferenza stampa con Hollande, ha precisato che il suo paese non ha mai avanzato un’ipotesi del genere (che risulterebbe molto sgradita a Mosca). “Oggi non è stato compiuto alcun miracolo”, ha affermato la Merkel. “Tuttavia, è stato avviato un processo di lavoro che ha molte sfaccettature. Bisogna lavorare sui temi della sicurezza, dell’attuazione politica e questo è il progresso di oggi, sulla stesura di una roadmap, quindi di un sequenziamento dei diversi passi che negli accordi di Minsk non erano stati indicati in maniera così dettagliata”.

“Un sacco di attenzione è stata dedicata ai problemi di sicurezza e si sono concordati una serie di elementi che devono essere attuati in un prossimo futuro in termini di riduzione del conflitto”, ha detto invece il presidente russo, Vladimir Putin. Il leader del Cremlino, che ha acceso anche un faro sul problema umanitario che attanaglia il Donbass, ha confermato che la Russia si è detto disponibile a “estendere la missione OSCE in materia di rimozione delle attrezzature pesanti. Il lavoro deve continuare sulla pista politica, anche per quanto riguarda la procedura di attuazione dello status speciale in alcune zone delle regioni di Donetsk e Luhansk”. Nessun proposito di invasione, come sostengono molti detrattori di Putin, piuttosto la ricerca di garanzie per due territori a maggioranza russofona.

Ad ogni modo, nonostante le belle parole e gli impegni dei leader dei quattro paesi, la situazione in Donbass rimane sostanzialmente confusa e congelata. Che sarebbe rimasta così anche dopo l’incontro di Berlino, lo si era capito fin da subito. Molte tv occidentali hanno mostrato l’accoglienza tiepida riservata dalla padrona di casa a Vladimir Putin (solo una stretta di mano), rispetto all’accoglienza festosa al presidente francese Hollande (abbracci e baci sulle guance). Ed è per questo, forse, che a far notizia non è stata la “roadmap” individuata dai quattro, quanto il messaggio lanciato da Putin alle istituzioni europee e occidentali circa le sanzioni che hanno colpito il suo paese proprio a causa della crisi in Ucraina.

Perché al tavolo dell’incontro di Berlino, quello importante, quello con i presidenti, non quello con i funzionari di delegazione, c’era Vladislav Surkov, ex vice primo ministro russo e attuale consigliere del presidente Putin sull’Ucraina, la Georgia e l’Ossezia del sud (ossia i fronti più caldi per la Russia ai propri confini). Surkov era seduto tra Putin e il ministro degli esteri Frank Walter Steimeier e l’anno scorso era stato inserito nella lista delle persone fisiche sanzionate dall’Unione Europa per la crisi ucraina. Nonostante ciò, Putin ha preferito portarlo ugualmente in Europa, non relegandolo tra le seconde file, ma esponendolo piuttosto ai riflettori dei media con l’obiettivo di mandare ai leader europei un messaggio chiaro e tondo, ossia che la Russia non ha paura delle sanzioni occidentali dettate dalla Casa Bianca.

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