Messico: dopo Trump opportunità o tragedia?


di Daniele Cardetta

Inutile dirlo, le elezioni presidenziali americane del 2016 hanno avuto un impatto notevole a livello globale, ma probabilmente i più interessati al loro esito dopo gli americani stessi erano i messicani.

E non a caso dato che il Messico è il grande vicino degli Stati Uniti, e la storia del paese centroamericano è ormai per certi versi legato a doppio filo a quello di Washington.


Povero Messico, così lontano da Dio e così vicino agli Stati Uniti“, era questa la frase pronunciata dall’ex presidente messicano Porfirio Diaz, una frase però ancora oggi molto attuale in quanto mostra in modo plastico come la politica messicana debba per forza di cose tenere conto dei rapporti con l’ingombrante vicino. Anzi semmai si potrebbe dire che sono proprio gli Stati Uniti a influenzare direttamente o meno la politica messicana.

Dopo la vittoria di Donald Trump il peso, ovvero la moneta messicana, ha subito un crollo superiore al 10%, una svalutazione preoccupante che potrebbe anche aumentare nei prossimi mesi. Inevitabilmente quindi il governo messicano verrà indebolito, e secondo molti analisti la situazione peggiorerà ancora al punto da mettere a rischio la tenuta del sistema politico messicano già duramente provato dalla crisi del petrolio degli ultimi tempi.

La vittoria di Trump avrà dirette ripercussioni anche per quanto riguarda i flussi commerciali in quanto attualmente l’economia messicana è strettamente interconnessa a quella americana, ed è chiaro che l’eventuale introduzione di misure di protezionismo interno da parte americana potrebbe avere conseguenze importanti per l’export messicano che, anche se negative al primo impatto, potrebbero anche non essere del tutto negative soprattutto a lungo termine.

Il Tycoon Trump ha infatti promesso di rivedere il patto di libero scambio con Usa e Canada, il North American Free Trade Argreement (NAFTA), ma questo potrebbe paradossalmente essere anche una opportunità per il Messico in quanto secondo molti il NAFTA non solo avrebbe fallito nel creare ricchezza e benessere ma avrebbe sostanzialmente anche peggiorato le cose sotto diversi punti di vista.

Dal 1994, data dell’introduzione della NAFTA, in Messico sarebbero infatti aumentate le violenze e il peso della criminalità organizzata e, come segnalato dal Columnist Vicky Pelaez in un articolo dal titolo emblematico "L'accordo di libero scambio che ha distrutto il Messico", nel 2014 il Messico è anche divenuto per la prima volta importatore di prodotti di prima necessità.

Non solo, negli ultimi 20 anni la ricchezza dei plurimiliardari messicani sarebbe aumentata esponenzialmente così come la presenza e il peso delle banche americane nel settore finanziario nazionale messicano. Tutto questo per non parlare di come i vari cartelli della droga messicani siano riusciti e riescano ancora a riciclare immense somme di denaro grazie alla complicità di banche americane. Secondo Peace Reporter solo nel 2011 sarebbero stati 380 miliardi i dollari riciclati, ovvero qualcosa come un terzo del Pil messicano.

Nell’immediato comunque le ripercussioni potrebbero avere effetti molto negativi per l’economia messicana, basti pensare che entro il febbraio 2017 il Congresso americano dovrebbe anche eliminare la legge di Offshoring pensata per dissuadere le imprese americane dal dismettere le produzioni negli Usa per trasferirsi in Messico e da l’ inviare i prodotti finiti negli Stati Uniti senza dazi. Ma questo potrebbe essere un preludio a un nuovo sviluppo magari basato su una differente valorizzazione delle enormi risorse messicane.

E’ dunque ancora troppo presto per capire quale sarà il futuro del Messico; anche se sicuramente la politica del “muro” di Trump (che molti dimenticano esistesse già prima dell’insediamento del Tycoon) potrebbe potenzialmente avere immediate ripercussioni negative per il paese mesoamericano, in futuro magari un Messico maggiormente indipendente e meno legato a doppio filo con l’ingombrante vicino potrebbe anche intraprendere percorsi di sviluppo alternativi, magari intrattenendo sempre di più rapporti economici con i Brics.

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