Sen. Ornella Bertorotta (M5S): «Basta attacchi al Venezuela»



di Geraldina Colotti - Il Manifesto

Sul voto in Senato contro il Venezuela bolivariano, abbiamo sentito la senatrice Ornella Bertorotta, che ha presentato una mozione alternativa insieme a Peppe De Cristofaro, di Sinistra Italiana.


Casini torna dal Venezuela e chiede che l’Italia intervenga per cambiare l’ordinamento democratico di quel paese. Qual è la posizione del Movimento 5 Stelle al riguardo?

Il M5S agisce in politica estera guardando agli interessi degli italiani, dalla ratifica dei trattati in commissione affari esteri, fino all’analisi della situazione geopolitica. Un altro elemento che contraddistingue la nostra politica estera è la ricerca del dialogo e della pace. La mozione di Casini porterebbe a un peggioramento dei rapporti tra il Venezuela e l’Italia, aumentando la tensione interna e metterebbe a rischio gli interessi dei nostri connazionali nel Paese. C’è poi un aspetto peculiare che riguarda gli impegni di questa mozione: ovvero la pesante ingerenza negli affari interni e nell’equilibrio democratico del Paese. Non possiamo chiedere a nessuno di cambiare l’equilibrio di poteri di un altro Paese, non lo abbiamo tollerato durante la campagna referendaria sulla nostra costituzione, non vedo perché dovremmo promuovere questa ingerenza per altri Paesi.


Quali sono i passaggi e le conseguenze della mozione?

Le mozioni di solito hanno un effetto di indirizzo verso il Governo. In questo caso, siamo rimasti sconcertati dalla velocità con la quale la mozione di Casini è stata calendarizzata. In un momento in cui la burocrazia blocca i soccorsi nelle zone terremotate colpite da una prevedibile ondata di freddo, il Senato, invece di lavorare su provvedimenti necessari ai terremotati, è stato impegnato per l’esigenza personale di Casini, che solo lunedì scorso ha presentato la mozione per chiedere la firma ai vari gruppi politici e già mercoledì ha ottenuto la discussione in aula, senza un confronto preliminare in Commissione Affari Esteri e ad appena qualche settimana dalla visita lampo del presidente della Commissione Affari Esteri in Venezuela a fine dicembre. E’ chiaro che tra le due cose c’è una relazione, legittima per carità, ma è assurdo che con mozioni presentate l’anno scorso e ancora in attesa di discussione e l’emergenza terremoto che chiede risposte immediate, si discuta di altro; questa fretta risulta quantomeno inopportuna. La nostra mozione guardava in maniera concreta agli interessi degli italiani in Venezuela. Riteniamo che aumentare ulteriormente lo scontro politico non sia un bene per i nostri connazionali, per questo abbiamo chiesto di avviare un dialogo con il Governo venezuelano, nel pieno rispetto del principio di non ingerenza negli affari interni di altri stati al fine di tutelare la sicurezza dei nostri concittadini, condannare qualsiasi violenza anche da parte di gruppi di opposizione, supportare il processo di pace promosso dalla Santa Sede, stabilire forme di cooperazione finalizzate anche a pagare quanto prima le nostre aziende che esigono pagamento dei crediti con lo Stato venezuelano.


In questi giorni,il dipartimento di Stato Usa ha reso nota la sua posizione verso il Venezuela, per bocca di Tillerson, che ha i suoi interessi nella Exxon Mobil. Come si sa, la compagnia sta estraendo petrolio nelle acque contese dell’Esequibo tra Venezuela e Guyana e ha contenziosi miliardari con il Venezuela, dopo le nazionalizzazioni volute da Chavez. La posizione di Trump sulla “transizione democratica” da imporre al Venezuela coincide con quella del Pd. Qual è la posizione dei 5S?

Credo sempre abbastanza poco agli annunci, ma se così fosse, la posizione di Trump sarebbe identica a quella di Obama da cui il Pd trae ispirazione.


Che pensate dell’arrivo di Trump e del suo “protezionismo” imperialista?

Ricordo la prima elezione di Obama, le aspettative furono così alte che venne persino premiato con il Nobel per la Pace sulla fiducia. A distanza di otto anni, Obama non ha segnato una differenza né in politica estera, né in politica interna. Durante la sua presidenza, non è passato un giorno in cui gli Stati uniti non fossero in guerra con qualcuno. Credo che Trump non potrà far peggio.
Gli americani alle scorse elezioni lo hanno democraticamente scelto, in discontinuità con Obama. Credo che questa scelta vada rispettata e che occorra aspettare che il nuovo presidente cominci a lavorare. A noi interessano le pratiche ragionevoli, il dialogo e la concordia tra gli stati e le comunità. Se la politica estera di Trump andrà in questa direzione, saremo i primi a riconoscerlo e a supportare gli sforzi per la pace e la cooperazione. Viceversa, come con Obama, non risparmieremo critiche, ove necessarie.

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