Alberto Negri - La "guerra sporca" in Iraq che uccide tre volte

di Alberto Negri* - Il Sole 24 Ore


Prima arriva un odore acre e penetrante, poi il respiro diventa affannoso, gli occhi bruciano e nella pelle si aprono ferite che non si rimarginano. Se il gas evapora nell'aria e le vittime hanno afferrato almeno uno straccio per tappare la bocca e il naso forse si salvano, altrimenti l'attacco è letale.


È la guerra “sporca”, quella con i gas e gli agenti chimici, che in Iraq ha colpito ancora, adesso a Mosul (l’Onu parla di numerose persone, tra cui donne e bambini, con sintomi evidenti di intossicazione da armi chimiche).


Non è la prima volta che l'Isis usa armi chimiche in Iraq, è già accaduto almeno cinquanta volte dal 2014 e qualche tempo fa anche Taz, a sud di Kirkuk, contro i civili e i peshmerga curdi di Massud Barzani. Un attacco del Califfato con l'iprite è stato registrato anche contro la base Usa di Qayyah.

È dagli anni '90 che i jihadisti sperimentano e fabbricano armi chimiche: ha cominciato Al-Qaida in Afghanistan e furono importate in Iraq da Abu Musab Zarqawi, il fondatore di “Al Qaida nella Terra due Fiumi”, da cui anni dopo nacque l'Isis di Al Baghdadi. I jihadisti le hanno utilizzate anche in Siria dove lo stesso regime di Assad è stato accusato di avere sganciato bombe al cloro su guerriglia e popolazione civile.

In Iraq la guerra sporca ha segnato la popolazione negli ultimi decenni e alcune stragi sono avvenute nella più completa indifferenza della comunità internazionale.

Il 16 marzo 1988 nella città di Halabja - 70mila abitanti situata nel Kurdistan iracheno, a 15 km dal confine iraniano - il regime di Saddam Hussein compì un orrendo massacro durante la guerra Iran-Iraq, un conflitto durato otto anni con un milione di morti. Per diverse ore l'aviazione irachena bombardò le zone residenziali della città con un composto chimico letale, un mix di iprite, acido cianidrico e gas neurotossici. L'iprite o “gas mostarda” viene chiamato così per il suo sentore particolare, descritto a volte come l'odore di aglio bruciato, altre volte di senape. Prende il suo nome da Ypres dove nel luglio 1917 vennero colpite le truppe britanniche: il gas mostarda uccise allora duemila soldati. Naturalmente è proibito dalle convenzioni internazionali come tutte le altre armi chimiche ma ricompare con spaventosa cadenza sui campi di battaglia del Medio Oriente.

Ad Halabia, dove cinquemila lapidi bianche ricordano i morti, persero la vita almeno 12mila persone, mentre i sopravvissuti dovettero lottare anche a distanza di anni contro diverse malattie e disturbi fisici (si registrò un'impennata di casi di tumori) e si riscontrarono diversi casi di malformazione genetica, come del resto accade più tardi, nel '91, quando in Iraq americani e alleati usarono proiettili con l'uranio impoverito.

Nonostante il massacro di Halabja venga oggi da tutti riconosciuto come un crimine contro l'umanità, all'epoca la comunità internazionale non mosse un dito contro l'Iraq, allora alleato degli Stati Uniti e sostenuto finanziariamente dalle monarche del Golfo nella guerra contro la repubblica islamica iraniana.

Non una parola di condanna venne dalle Nazioni Unite. Anzi fu accusato della strage l'Iran, insistendo con false argomentazioni che vennero portate avanti dalla Cia per buona parte degli anni ‘90. L'agenzia di intelligence americana cambiò radicalmente versione qualche anno più tardi e citò spesso il caso Halabja per dimostrare il possesso di armi chimiche da parte del regime di Saddam e quindi per giustificare l'intervento militare contro Baghdad, la madre di tutte le “bufale” dell'informazione.

L'arsenale chimico del regime era stato eliminato e le armi di distruzione di massa non vennero mai trovate. La guerra sporca in Iraq uccide tre volte, con i gas, con gli effetti letali sulle generazioni seguenti e con le menzogne.


*Pubblichiamo su gentile concessione dell'Autore.

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