Idlib come Sarajevo: "fuoco amico per intervento armato?". I dubbi de la Stampa


PICCOLE NOTE


La strage di civili causata da armi chimiche avvenuta ieri a Idlib, in Siria, è ovviamente la prima notizia di tutti i giornali. E, al solito, per i quotidiani mainstream Assad è il colpevole dell’orrendo crimine. Al tema abbiamo già dedicato una Postilla, alla quale rimandiamo (cliccare qui).

La criminalizzazione di Assad da parte di certa stampa è cosa usuale. Ormai è tragico riflesso automatico. Che scatta al di là di ogni ragionevole dubbio, di ogni riflessione, di ogni doverosa ricerca delle prove. Alimentando quel circuito perverso che stringe l’informazione sulla guerra siriana in un vicolo cieco, immerso nel buio più profondo. E il buio della ragione genera mostri.

Per fortuna qualche giornalista ancora prova a porsi domande. È il caso di Giuseppe Cucchi, sulla Stampa del 4 aprile, che scrive: «L’episodio è poi tanto inatteso quanto assurdo. Inatteso poiché, come già detto, dopo l’entrata in vigore dell’accordo [che aveva comportato la distruzione dell’arsenale chimico di Assad ndr.], che non era stato mai violato sino a oggi, non ci sarebbero più dovuti essere aggressivi nervini in questa parte del Medio Oriente».



«Assurdo in quanto non si comprende perché il regime di Assad, che ha immediatamente negato ogni responsabilità nell’accaduto, dovrebbe aver deciso di compiere un gesto tanto crudele, clamoroso e illecito proprio quando le sorti della guerra, rimaste in dubbio per anni, sembrano volgere inesorabilmente, anche se lentamente, a suo favore».

Certo, continua Cucchi, potrebbe essere stata un’iniziativa di qualche militare, ma la «strettissima» presa di Assad sul suo esercito rende tale ipotesi «azzardata». «E poi potrebbero mai le forze siriane decidere un bombardamento di questo tipo senza informare preventivamente l’alleato russo, motore e garante dell’accordo che liberava la Siria dalla presenza di armi chimiche? Decisamente impensabile».

Quanto accaduto a Idlib ieri, per Cucchi ricorda la tragedia di Sarajevo, con i bombardamenti che fecero stragi di civili. «Fu l’episodio che motivò l’intervento aereo della Nato sulle truppe serbe – scrive il cronista della Stampa -. Ancora anni dopo però permangono fondati dubbi sulla dinamica dell’accaduto, considerato come esistessero indizi secondo i quali i colpi di mortaio sarebbero potuti partire da zone in mano ai bosniaci e non ai serbi. Fuoco amico, dunque? Fuoco amico destinato a provocare l’intervento Nato? L’interrogativo resta aperto».

Nessun dubbio residuo, si potrebbe aggiungere, permane invece sull’intervento della Nato in Iraq, motivato dal pericolo costituito dalle armi di distruzione di massa di Saddam Hussein. Eppure al tempo autorevolissimi esponenti politici e alti militari della Nato, come anche autorevoli media presentarono al mondo prove inconfutabili in tal senso. Ad avvelenare i pozzi dell’informazione, oggi come allora, sono gli stessi ambiti, ai quali è garantita l’immunità, se non la carriera, anche in caso di successiva smentita.

A margine di quanto scritto val la pena accennare alla reazione di Staffan De Mistura, inviato per l’Onu in Siria all’eccidio di ieri: «Ogni volta che abbiamo un momento in cui la comunità internazionale si riunisce [per negoziare sulla Siria ndr.], c’è sempre qualcuno che, in qualche modo, prova a minare la speranza producendo un sentimento di orrore e oltraggio».

Nella postilla di ieri abbiamo scritto come due giorni fa sia il Capo del Dipartimento di Stato che l’ambasciatrice all’Onu degli Stati Uniti avevano fatto capire chiaramente che la permanenza di Assad al potere non era più un ostacolo ai negoziati di pace, come accaduto in passato.



Una svolta che avrebbe di certo favorito la riuscita dei negoziati, peraltro con beneficio di Assad. Evidentemente uno sviluppo sgradito a qualcuno, che ha fatto saltare tutto.

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