"Caccerò Maduro". Trump ordina, la destra golpista venezuelana esegue


di Geraldina Colotti* - Il Manifesto

«Caccerò Maduro dalla presidenza del Venezuela e Cabello andrà in galera come narcotrafficante». Parola di Trump, per bocca del suo segretario di Stato, Rex Tillerson.

Per il governo Usa, il Venezuela bolivariano è «una calamità», da ridurre a più miti consigli con l’intervento dei paesi latinoamericani e dell’Osa, diretta da Almagro. Quest’ultimo ha assunto il punto di vista del padrino nordamericano e delle destre venezuelane, che per questo lo hanno insignito a Miami dell’«ordine dell’esilio».

Intanto, in Venezuela sono ripartite le violenze dei «guarimberos» sul modello delle «rivoluzioni colorate»: attacchi alle scuole pubbliche, agli edifici pubblici, aggressioni ai giornalisti, filo spinato per sgozzare chi torna in moto dal lavoro, strade cosparse di olio e chiodi a tre punti, esplosivi e bombe. E perfino accuse a Maduro di aver sganciato gas tossici. Anche per Caracas è in marcia il «modello libico», ma per la grande stampa internazionale funziona un racconto al contrario, come già accadde durante le violenze del 2014 (43 morti e oltre 800 feriti): quello di «pacifici manifestanti» in lotta per la libertà contro una feroce dittatura.

Nel 2014, i danni al centro di Caracas sono stati ingenti. Da allora, le manifestazioni a rischio vengono dirottate nei quartieri dell’est, governati dalle destre. In questi giorni, «i guarimberos» hanno però deviato dal percorso, forzando i cordoni di polizia con l’intenzione di provocare incidenti. Inoltre, hanno attaccato e dato alle fiamme la sede del Tribunal Supremo de Justicia, che si trova nello stato di Miranda, governato dall’ex candidato presidenziale e leader di Primero Justicia, Henrique Capriles. Quest’ultimo è stato inabilitato per 15 anni da una condanna in prima istanza per finanziamento illecito, ma ha annunciato ricorso (ha tempo 15 giorni). Anche gli uffici di Capriles sono stati dati alle fiamme durante gli scontri tra opposte fazioni.

Il chavismo ha portato in piazza un fiume di sostenitori ma l’opposizione ha deciso di proseguire con le proteste violente anche nella settimana di Pasqua. Ad accompagnarle, giovani e meno giovani delle classi medie e medio-alte che recavano cartelli contro la scuola pubblica e le istituzioni. Maduro ha nuovamente invitato al dialogo, in corso sotto l’egida della Unasur e del Vaticano e si è detto sicuro che nelle prossime elezioni regionali e comunali il chavismo risulterà vincitore.

Anche in una situazione di guerra economica e sabotaggio – che ha evidenziato limiti e ritardi del paese petrolifero a fronte di una drastica caduta del prezzo del petrolio -, il Partito socialista unito del Venezuela (Psuv) resta il primo partito: con un grande seguito popolare tra i settori tradizionalmente esclusi negli anni del neoliberismo. A 19 anni dalla vittoria di Chavez alle elezioni del dicembre 1998, il dibattito è vivace, dentro e fuori le istituzioni, come si è visto dopo la sentenza del Tribunal Supremo de Justicia (Tsj) riguardo alle decisioni del Parlamento governato dall’opposizione.

Il Parlamento è solo uno dei cinque poteri costituzionali esistenti in Venezuela che l’Alta Corte si incarica di mantenere in equilibrio affinché nessuno prevarichi. Dopo la vittoria alle legislative del 2015, tre deputati dello Stato Amazonas sono stati invalidati per frode, ma hanno assunto comunque l’incarico. Il Tsj ha dichiarato il Parlamento in ribellione e ha considerato nulle tutte le leggi approvate.

Una tensione giunta all’acme quando l’Assemblea nazionale ha richiesto all’unanimità le sanzioni contro il proprio paese e l’intervento degli Stati uniti, aprendo così la strada a una possibile invasione militare, sul modello di quanto avvenuto in Libia, in Iraq, in Siria… Da lì e dal tentativo di bloccare il pagamento del debito estero bocciando un accordo petrolifero con la Russia, la decisione del Tsj, le critiche della Procuratrice generale, e il rientro di una parte delle sentenze, riviste dal Tsj. Altroché dittatura. Piuttosto un laboratorio pulsante e multiforme, un esperimento che tiene nonostante azzardi e approssimazioni.

«Trump è il vero difensore del popolo venezuelano», ha dichiarato Lilian Tintori al ritorno dagli Usa. Tintori è la moglie di Leopoldo Lopez, leader del partito di estrema destra Voluntad Popular, in carcere per le violenze del 2014.In eterno litigio per la leadership, l’opposizione cerca di accreditarsi come unico referente con gli Stati uniti, mentre si profila la candidatura del miliardario Lorenzo Mendoza, proprietario della grande impresa Polar. Le elezioni presidenziali devono svolgersi nel 2018, ma l’opposizione preme per far cadere Maduro e riconsegnare il paese al baratro in cui era finito prima dell’arrivo di Chavez: con la stessa ricetta che stanno applicando Macri in Argentina, Temer in Brasile o Pena Nieto in Messico. Paesi che di certo non possono dar lezione di diritti umani, invece lo fanno, con l’appoggio di Almagro. E Tintori è stata di recente ricevuta anche in Messico da Nieto, ricevendone pubblico appoggio.

«La difesa del Venezuela non è solo compito dei venezuelani», ha detto il ministro degli Esteri cubano Bruno Rodriguez aprendo all’Avana il XV Consiglio politico dell’Alba, l’Alleanza bolivariana per i popoli della nostra America, fondata da Cuba e Venezuela. E i paesi del blocco regionale hanno respinto le ingerenze dell’Osa, ricordando che se cade il governo bolivariano si destabilizza tutto il continente.

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